Femminile Maschile Plurale Rassegna Stampa A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / Luoghi e passioni dell’altra Ravenna. Due intense giornate, fra lavoro, ambiente e arte

A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / Luoghi e passioni dell’altra Ravenna. Due intense giornate, fra lavoro, ambiente e arte

di Maria Paola Patuelli

da https://www.ravennanotizie.it/

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Da tempo considero la salute della nostra Repubblica in condizioni gravi. Nel seguirne l’andamento, da tempo riscontro peggioramenti, via via più preoccupanti. Appartengo ad una parte della pubblica opinione, confortata da analisi di costituzionalisti e politologi, che considera il tempo presente come una pericolosa china, la più preoccupante dall’inizio della storia repubblicana. Il passato non è sempre stato – anzi mai – rose e fiori. All’inizio della Repubblica ci fu una diffusa resistenza, in parte dell’arco costituzionale, all’attuazione della Costituzione. Seguì poi la reazione neo fascista alla grande stagione dell’azione collettiva, operaia e studentesca, e alla crescita elettorale delle forze di sinistra. Stragismo fascista e reazione violenta delle Brigate Rosse. Anni difficili, ma l’arco costituzionale resistette.

Negli ultimi trenta anni l’aggressione alla Costituzione si è spostata da forze esterne o estranee alla storia della Costituzione, a forze presenti in Parlamento, con l’intento non di attuare la Costituzione, rendendo la Repubblica somigliante alla Costituzione – operazione che i Costituenti, in un eccesso di ottimismo, davano quasi per scontata -,  ma esattamente il contrario, di fare una Costituzione che assecondasse i loro desiderata. Fino ad oggi, i disastri peggiori sono stati fermati da un popolo sovrano che, attraverso referendum cruciali, si è fatto sentire. Ma da due anni incombono e sono in dirittura di arrivo aggressioni che potrebbero dar vita a un’altra Repubblica, con l’Autonomia Differenziata, il Premierato elettivo, l’addomesticamento della Magistratura.

Chi qui scrive, di questi temi da anni si occupa, e continuerà a farlo. Ma vivendo una contraddizione. Che è quella di seguire e analizzare questioni nazionali preoccupanti e di trascurare ciò che accade o si muove nella mia città. In qualche caso, ho rimediato. Troppo poco, forse. Ma nei due giorni appena trascorsi, è a Ravenna, dove peraltro sono nata, dove la mia famiglia ha passato il tempo più significativo della propria vita, antifascismo e Resistenza, che ho visto luoghi e passioni da raccontare.

Confesso un mio deplorevole ritardo. In questi ultimi venti anni, quante volte a Roma? Per manifestazioni, convegni, seminari, incontri. Moltissime volte. Ma non ero mai stata in un luogo a due assi da dove abito. Il centro sociale Spartaco. Fondato da giovani, nel 2003. Un buon esempio di rigenerazione urbana. Luogo di vita intensa, continuativa, di impegno civile e culturale di una generazione nata molto tempo dopo la mia. Venerdì pomeriggio lì mi sono recata, non per mera curiosità. Ma perché vi si svolgeva un incontro di importanza non inferiore alle mie civili preoccupazioni. Anzi, l’argomento affrontato era per eccellenza di rilevanza costituzionale. Un incontro promosso da ARCI e dal collettivo di fabbrica della GKN di Campi di Bisenzio. Un incontro ad alta intensità, con parole di studiosi, come il sociologo Romano Calcagno, due operai del collettivo GKN #Insorgiamo, Massimo e Snupo, uno studioso di teatro, Lorenzo Donati. Calcagno ha curato il libro Le imprese recuperate in Italia.

Hessel

Il suo racconto, i loro racconti, mi hanno costretto ad un interrogativo. Ma dove vivo? Possibile che il mio feeling per la working class in questi anni si sia nutrito più di film di Ken Loach che della classe operaia in Italia? È proprio così. Anche se la vicenda della GKN, fin dal suo inizio, la seguo, seppur da lontano. A partire dall’entusiasmo con cui ho accolto il loro motto: #Insorgiamo.  Un motto che attualizza un grido di qualche anno fa, dopo la grande crisi del 2008. Indignatevi! Il titolo di un pamphlet del 2010 di veloce lettura, di grande successo e di velocissima diffusione, di Stéphane Hessel (nella foto sopra), diplomatico francese, ex partigiano, in quel momento novantatreenne. A seguire, nel 2011 pubblicò Impegnatevi! Disse, Stéphane, che non basta indignarsi. Il fenomeno Occupy Wall Street ne fu un immediato effetto. L’impegno di  Occupy fu grande, per quasi un anno. Ebbe grande risonanza, non solo negli Usa. Ma anche in quel caso emerse la fragilità dei movimenti. La difficoltà di mantenere viva la mobilitazione.

Per ora, gli operai della GKN, mantengono vivi sia l’indignazione che l’impegno, nonostante difficoltà. L’indignazione scattò quando, senza alcun preavviso, nel luglio del 2021, gli operai ricevono la lettera di licenziamento. Nella prima assemblea decidono di non piegarsi e si trasformano in assemblea permanente, che oggi ha raggiunto i 1000 giorni. Indignazione e impegno continuano, seguendo una strada che il lavoro di Calcagno chiarisce. È possibile agire con risultati concreti quando classe operaia e istituzioni pubbliche lavorano in concerto.

Molte imprese a rischio chiusura sono state recuperate in forma cooperativistica, dopo la grande crisi del 2008. Un fenomeno che ha consentito una risposta esemplare a miopi tentativi del capitalismo neoliberale di cavarsela in fretta con dislocazioni, casse integrazioni, vendite per speculazioni edilizie e via scorrendo. Il collettivo di fabbrica della GKN sta cercando di seguire la strada del recupero. Il nuovo proprietario Borgomeo non sta mantenendo gli impegni. Da quattro mesi gli operai sono senza stipendio. In molti resistono, non tutti. Ma con il sostegno di economisti, sociologi e giuristi stanno mettendo a punto un piano industriale innovativo, sia nella forma, si spera cooperativa, che nella produzione, pannelli fotovoltaici e cargo bike.

Oggi gli operai resistenti sono 140 e continuano a vivere nella fabbrica, custodi del materiale prezioso e di ottima qualità che contiene, macchine di ultima generazione, le “loro” macchine, finalmente amiche. Sta dando all’Italia, questa parte di working class, una grande lezione. Cercare soluzioni insieme, costruire preziose relazioni, anche con il proprio territorio, fino ad oggi solidale, e scoprire che esiste una legge, la n.49 del 1985, detta legge Marcora, che può essere di aiuto. La legge si ispirò ad un’idea di Marcora, ministro democristiano, a suo tempo partigiano combattente, fautore di altre due leggi, l’obiezione di coscienza e il servizio civile. Un ministro assai coerente con i principi costituzionali. Non a caso un partigiano, come Stéphane.

C’è un nesso? Direi che c’è. La legge Marcora è ignorata dalle Istituzioni, e trascurata, fino ad oggi, anche dai sindacati, spesso impegnati nei cosiddetti interminabili tavoli di crisi ministeriali.  Ma oggi, fortunatamente, i sindacati sono più attenti alla potenzialità applicativa di questa legge, che istituisce un Fondo destinato alla salvaguardia dell’occupazione attraverso la formazione di imprese cooperative tra dipendenti di aziende in crisi. Operai, intellettuali, sindacato, Lega della Cooperative, agiscono insieme. Mi sovvengono parole indimenticabili.

Antonio Gramsci

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”, parole scritte da Antonio Gramsci l’11 febbraio 1917, pochi giorni dopo la rivoluzione russa del 5 febbraio. Inoltre, “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”. Così scrisse Antonio Gramsci, sul primo numero di L’Ordine Nuovo, pubblicato il primo maggio del 1919, più di un anno dopo la rivoluzione di ottobre, nella in-fondata speranza che una simile rivoluzione fosse possibile anche in altri luoghi, in Europa.

Trovo un’unica parola, che un Gramsci redivivo oggi non scriverebbe. Odio. La storia che Gramsci non ha potuto vivere, ucciso da mano fascista, ci insegna che la forza dell’odio non ha risolto. Anzi,  ha complicato, ha aggravato. Invece, Istruitevi. Agitatevi. Organizzatevi, sono parole vive che campeggiano in grande evidenza nella sede di Arci di Ravenna, da me spesso frequentata. Non c’è volta che non le rilegga. Hassel le conosceva? È molto probabile. Gli operai della GKN stanno mettendo in pratica questo invito gramsciano. Operai della GKN, in buona misura intellettuali di fatto, hanno con loro molti intellettuali formalmente tali, che, come Calcagno, si definiscono con orgoglio attivisti militanti, come gli intellettuali che si “sporcavano le mani” e che piacevano a Jean Paul Sartre. Che hanno studiato e continuano a studiare, cittadini e militanti, come ci voleva Gramsci. L’unico modo per non cadere nella trappola dell’indifferentismo e delle volgari sirene populiste.

Poche settimane fa hanno dato vita, nella fabbrica GKN, al Festival della Letteratura della working class, ripetendo un’unica precedente esperienza, in Gran Bretagna, di qualche anno fa. Un programma strepitoso, che vede voci di intellettuali di professione e di operai di professione agire insieme. È quello che trovo scritto nel Manifesto di Ventotene, che diede vita al Movimento Federalista voluto da Spinelli, Rossi e Colorni nell’agosto del 1943, appena caduto Mussolini. Se non si dà vita a una forte alleanza fra operai e intellettuali, non sarà facile sconfiggere fascismo e nazionalismo. Sembrano parole a noi contemporanee, che a Campi di Bisenzio sono state prese sul serio. Con grande forza e creatività.

Pochi giorni fa è stato presentato al Sant’Anna di Pisa un progetto di reindustrializzazione considerato convincente e fattibile da economisti e giuristi. È stata lanciata una campagna di azionariato popolare per sostenerla. Si chiede alla Regione Toscana una legge che dia vita a un consorzio fra Comuni, Università e associazioni, per rilevare l’area e metterla a disposizione della cooperativa operaia che, con il piano presentato, potrebbe dare lavoro a 136 operai. È un progetto di alleanza fra operai e intellettuali che troverebbe l’approvazione di Altiero Spinelli. Istituzioni, sindacati, Lega delle Cooperative non possono essere da meno.

Perché è di una aggiornata nuova grande alleanza che l’umana civiltà ha bisogno. Al centro sociale Spartaco ho intravisto una storia che a questa alleanza allude. Senza dimenticare un dato. Molte volte chi è della mia generazione lancia lamenti. Ma dove sono i giovani? Cosa fanno? Rispondo. Ma siete ciechi? I volti dei tanti movimenti ambientalisti, nel mondo, vi sembrano aged come i nostri? I movimenti nelle Università americane, europee e italiane, che dicono “basta fabbricare armi, basta annientare il popolo palestinese” hanno persone con il nostro sembiante? Fortunatamente no.  Se la gioventù la si cerca, la si trova. Al centro sociale Spartaco – mi ci voleva la storia operaia di GKN per scoprirla – la gioventù c’era, in buon numero.

giorgio benelli

Ma le belle soprese di luoghi e passioni dell’altra Ravenna – quella che prima si indigna, poi si impegna, poi studia, poi si organizza – in questo fine settimana di impegno civile, a Ravenna, non si sono concluse  con gli operai e con la loro forza, che coniuga coraggio, dignità e creatività. Le ho trovate anche in un convegno della mattina successiva, un convegno promosso, dopo quello eccellente di qualche mese fa, dal coordinamento ravennate Per il Clima – Fuori dal Fossile che, con una grande manifestazione all’inizio di maggio del 2023, aveva con forza lanciato un forte appello alla città. Da pochi giorni, allora, c’era stata la prima alluvione. Dopo dodici giorni, la seconda alluvione, apocalittica. Ancora non ne siamo fuori.

Il Convegno era dedicato a Giorgio Benelli (nella foto sopra), interessante figura di cittadino attivo, attraversato da forti passioni, dalla giustizia sociale alla giustizia ambientale, fin dalla prima gioventù –  eravamo insieme al Festival mondiale della Gioventù di Sofia, nel 1968 – e fino all’ultimo suo giorno. Carla Baroncelli ha saputo ricordarlo con grande e schietta intensità. E, con lo stesso spirito, si è svolto il convegno. La schiettezza. Dati, numeri e analisi.  Barbara Domenichini, con parola di donna, sottolinea che alcuni studi di scienze sociali riconoscono la sovrapposizione tra negazionismo climatico, populismo, sovranismo e tendenze xenofobe, come se il fossile fosse una identità alla quale aggrapparsi, come la copertina di Linus. L’America è il petrolio, l’America è l’uomo bianco e di conseguenza l’uomo bianco è il petrolio. Un bel sillogismo aristotelico, di quelli rassicuranti. Ambientalismo? Debolezze femminili. Barbara ci ricorda il nome di Cara Daggett, autrice e ricercatrice presso il dipartimento di scienze politiche dell’università della Virginia, che ha introdotto un neologismo a mio avviso simpatico, petromascolinità. Non a caso, anche il rigassificatore in costruzione qui, nel Mare di Punta Marina, è stato chiamato da un potente fautore del fossile, in un convegno a Ravenna nell’autunno scorso, “la signora”. Manca solo l’inchino del cavaliere.

Off Shore Angela Angelina

Altra analisi importante e pressoché celata alla pubblica opinione,  è quella riportata da altri relatori, come Vanni Destro, del movimento NO TRIV,  Mario Pizzola, Stop Hub del Gas  di Sulmona, Francesco Occhhipinti, Legambiente Emilia Romagna, Chiara Bocchini del WWF. Intanto, nel mondo ci sono stati e ci sono duemila contenziosi climatici. Di recente, ambientalisti hanno vinto un ricorso in Olanda conto la potente Schell. In Svizzera un gruppo di donne anziane ha vinto un ricorso, appellandosi al diritto umano alla salute che inquinamento e crisi climatica compromettono. Eni non rispetta gli accordi di Parigi sul clima 2015. La decarbonizzazione non passa dal gas, visto come panacea dopo la guerra in Ucraina, per prevenire il pericolo che si restasse al freddo.

Ma cosa si nasconde alla pubblica opinione? Che dal 2021, prima della guerra in Ucraina, il consumo di gas è diminuito in modo crescente, del 15% in Italia, del 20% in Europa. La previsione è che la decrescita continui. Notizia di grande interesse, che fa pensare che stia migliorando da parte di chi non fa coincidere la sua ragion d’essere con il consumare, l’attenzione all’ambiente, al contenimento dei consumi e alle cause della emergenza climatica. Quindi, perché Eni vuole aumentare la produzione di gas? Vuole diventare l’hub del gas per l’Europa? Ma i consumi in Europa sono calati più che in Italia. Miopia? E la Snam, perché continua a mantenere vivo il progetto del Gasdotto detto della Linea Adriatica, che produrrà una profonda ferita, attraversando, fra l’altro, tre parchi nazionali, dal sud fino a noi, qui, in Emilia, anzi a due passi da noi, non lontano da Ravenna. L’interlocuzione dei movimenti con le Istituzioni è stata più volte tentata. Molte domande, e nessuna risposta. I movimenti non si arrendono e si danno un primo irrinunciabile compito. Informare la popolazione. Per esempio, né i rigassificatori né il Gasdotto Linea Adriatica, serviranno. 

Il convegno è stato concluso da una voce molto giovane, da Viola, studentessa del Campus di Ravenna, parte del movimento universitario internazionale End Fossil Occupy. Per l’Università fuori dal fossile… Se è l’Università che dà forma al nostro sapere, dice Viola, non possiamo non occuparci di fossile e di guerra. Perché Eni è così legittimato? Eni finanzia le Università per avere in cambio tecnologie. Utili a chi? Eni ha voluto e finanziato a Ravenna la Facoltà di Offshore Engineering for Energy Transition. Eni ha acquisito giacimenti in Mozambico e quelli nel mare di fronte a Gaza. È, probabilmente, green washing. Il movimento End Fossil è più schietto e dice, come parte della mia generazione avrebbe detto un tempo, che Eni compie azioni e politiche imperialiste.  E, con queste parole d’ordine, il movimento ha occupato, mesi fa, sedi universitarie a Roma e a Pisa. Ma quello che più mi ha colpito della riflessione di Viola è stata una sua conclusione di grande maturità politica. Noi abbiamo il privilegio di studiare, di avere informazioni. Il nostro compito allora è divulgare, informare e non attaccare chi, privo di informazioni, non è con noi. Cerchiamo di cambiare il discorso corrente. Noi un potere lo abbiamo e ne siamo consapevoli. Quindi, procediamo. Tolleranti nella discussione e intransigenti nella azione. Loro i soldi, noi la voce.

Voce che è musica per le mie orecchie. Musica che è stata ascoltata da un pubblico misto, di varie generazioni e storie politiche. E tanta gioventù, studentesse e studenti. In un luogo che da qualche tempo è aperto alle iniziative della società civile, un ampio spazio della Accademia di Belle Arti, nel cuore della città, che guarda piazza Kennedy, a fianco di Palazzo Rasponi dalle Teste. Un buon segnale. Nessun compartimento stagno, in questo caso, fra arte e città.

Brecht

Ma ho avuto un altro momento di intensa partecipazione al Teatro Rasi, nella serata dello stesso giorno. Nel programma del Festival Polis della compagnia ErosAntEros ho trovato uno spettacolo che mi ha richiamato con forza, tratto da un saggio politico di Bertolt Brecht, scritto nel 1934. Nel 1933 Brecht aveva lasciato la Germania nazista. Il titolo del saggio Come dire la verità ai deboli e combattere la menzogna dei potenti è diventato, nello spettacolo, Sulla difficoltà di dire la verità, un monologo detto con forte intensità da Agata Tomsic. Mentre ascoltavo, mi chiedevo. Allora, il tempo non è passato? Brecht è tornato fra noi? Ancora ci vuole coraggio per dire la verità? E ci vuole  molta attenzione nel riconoscerla, perché spesso è avvolta da fitta nebbia? E una volta riconosciuta, come comunicarla bene? Inoltre, a chi comunicarla? Un destinatario non vale l’altro.

Vox clamans in deserto non serve. Quindi scegliere astutamente, con occhio attento, a chi dirla, la verità. Conoscevo, e apprezzavo, la passione di ErosAntEros per Brecht e il suo teatro, preso molto sul serio. Brecht dice che dire la verità è difficile sia dove vige il fascismo che nei paesi della libertà borghese. Sono parole sue. La stessa cosa dicono, di fatto, gli operai della GKN e gli intellettuali che con loro stanno lavorando, le voci ambientaliste che abbiamo ascoltato, la gioventù che sta parlando e cercando ascolto. Ci sono voci che vengono ascoltate, altre meno, altre per niente. Dipende dai contesti e dai poteri che li controllano.

Per concludere. Torri Hamon. Prima, durante e dopo. È proprio di Brecht che ci sarebbe bisogno, anche in questo caso. Allora, parafrasando Bertolt, penso. Infelici i popoli e le città che per avere cultura hanno bisogno di Fondazioni bancarie e di Eni. Invece chi, fedele alla Costituzione, paga regolarmente le tasse, esige che lo Stato, che sta in piedi con le nostre tasse, sostenga direttamente la cultura e che altre donazioni siano del tutto liberali e che non chiedano nulla in cambio, come il buon mecenatismo richiede. Grande è quindi la responsabilità di chi non paga le tasse, impoverendo così la mano pubblica, e di chi dona chiedendo in cambio molto. Territorio, scelte urbanistiche, altro.

Il caso Genova? Ma non è certamente il primo caso. Anche questa è una storia che viene da molto lontano.

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