di Marina Mannucci
Anna Julia Cooper (Raleigh, North Carolina, 1858 – Washington, 1964) è considerata una
delle fondatrici della sociologia. Nata schiava, nel corso della sua lunga vita, riesce ad
accedere all’istruzione in seguito all’ottenimento della libertà. Studentessa brillante, si
laurea in matematica, diventando poi insegnante e preside di prestigiose scuole per
giovani afroamericane. Intellettuale e studiosa, all’età di 67 anni consegue il dottorato in
storia alla Sorbona. È anche attivista, leader e popolare public speaker: nel 1892
contribuisce a fondare a Washington la Colored Women’s League e nel 1896 costituisce
la National Association of Colored Women’s Clubs, organizzazione di afroamericane tra le
più antiche degli Stati Uniti.
Il volume contiene la prima traduzione in italiano del pensiero di Anna Julia Cooper
presentando i due celebri saggi Woman versus the Indian e The Higher Education of
Women, pubblicati nel 1892 dall’editore The Aldine Printing House, Xenia (Ohio), nella
raccolta A Voice from the South. By a Black Woman of the South. I testi, in cui si discutono
le discriminazioni subite dalle donne nere nel Sud degli Stati Uniti e il loro limitato accesso
all’istruzione universitaria, rappresentano un contributo importante alla teoria femminista
nera e alla Black Sociology, di cui l’autrice è fra le iniziatrici. Cooper rielabora
testimonianze vissute, episodi osservati, esperienze di viaggio, dati raccolti, esplicitando il
proprio posizionamento di studiosa “donna, nera, del Sud”. Rivendica il ruolo cruciale delle
donne nere alla guida della battaglia per la libertà, a favore di tutti/e coloro ai/alle quali
sono negati i diritti civili: le persone nere, le donne, i nativi americani, i poveri. A distanza
di oltre un secolo, i saggi di Cooper non rappresentano solo il punto di partenza per lo
sviluppo delle successive teorie sociologiche su razzismo e intersezionalità, ma risultano
di inquietante attualità.
Curare la traduzione, anche con la collaborazione di Gaia Benzi, di due saggi così densi di
significati scritti alla fine dell’Ottocento, non è stata cosa semplice per Marta Visioli
dottoranda in Sociologia, Organizzazioni, Culture presso l’Università Cattolica del Sacro
Cuore. «Cooper analizza la convergenza dei sistemi sociali di oppressione intorno alle
questioni di genere, razza e classe sociale, evidenziando come, nel loro intrecciarsi,
queste siano in grado di generare ampie diseguaglianze: con questa riflessione anticipa di
circa un secolo, seppure in maniera embrionale, l’approccio dell’intersezionalità 1 . Tuttavia,
non si ferma qui: in Women versus the Indian sostiene la difesa di quelli che definisce the
rights of humanity, ovvero i diritti di tutti gli esseri umani, specificando i gruppi ai quali
questi diritti sono negati: le persone nere, le donne, i nativi americani (‘Indians’) e i poveri.
Queste tematiche vengono poi affrontate e teorizzate in The Higher Education of
Women, il secondo testo preso in considerazione in questo volume, in cui Cooper
riconosce nell’educazione uno strumento centrale per l’ascesa sociale delle persone nere.
Anche in questo saggio notiamo un riferimento all’approccio intersezionale, declinato e
applicato al tema dell’istruzione superiore delle donne nere» 2 . Tra gli obiettivi espressi in
una nota della curatrice, è la speranza «che la lettura di questi testi possa servire a porsi
domande necessarie e urgenti sul razzismo sistematico e sulle oppressioni multiple che
attraversano, in forme simili e differenziate, chiare e mascherate, le nostre società
contemporanee» 3 .
Ad accompagnare la lettura del volume, una Nota di traduzione puntualizza, tra le altre
cose: «Nell’edizione originale, l’autrice usa in diversi passaggi il termine ‘Nero’, parola con cui negli Stati Uniti venivano indicate le persone schiavizzate e, dopo l’abolizione della schiavitù, i loro discendenti. Utilizza anche altri termini e vezzeggiativi, come ‘darkey’, per riferirsi alle persone nere. Si tratta di parole diffuse al tempo per rappresentare in modo dispregiativo le persone nere. Il termine che compare più frequentemente nei due saggi è il termine ‘Nero’, che per molto tempo è stato legittimato dal regime razziale degli Stati
Uniti. In seguito, le persone afroamericane si sono riappropriate di questo termine come
modo per autorappresentarsi, sostituendolo poi con il termine ‘black’, tradotto in italiano
come ‘nero/a’. Questo passaggio terminologico, come suggeriscono Marie Moïse e
Angelica Pesarini, evidenzia l’evoluzione lessicale in corso dovuta alle lotte sociali portate
avanti da movimenti antirazzisti in tutto il mondo (A. Davis, trad. it. di Pesarini e Moïse,
2022). Questi ultimi sottolineano la necessità di non avallare più l’uso del lessico connesso
alla violenza razziale legittimato in passato, sensibilizzando sul suo carattere offensivo» 4 .
Nel primo dei due saggi, La donna versus l’Indiano (pp. 41-83), per fedeltà al testo
originale, e per rispettare il contesto storico dell’autrice, si è deciso di mantenere la
traduzione letterale del termine Indiano, nel titolo così come nel testo. Riconoscendo
«tuttavia la problematicità attuale di termini come ‘indiano’, oggi non più utilizzato e
sostituito con le espressioni ‘popoli indigeni’ o ‘nativi americani’» 5 .
In particolare, in questo saggio, Cooper affronta il tema della discriminazione
razziale presente anche nell’ambito femminista. Denuncia le colleghe femministe bianche
che, a suo avviso, invece di lottare esclusivamente per l’emancipazione delle
donne, dovrebbero lottare per la dignità di tutte le persone senza discriminare nessuna
categoria. La riflessione si articola attraverso una serie di paragrafi: Le richieste delle
sorelle nere al National Woman’s Council, Il ruolo della donna americana, La società
americana di fronte alle violenze verso le donne nere, Sentimento pubblico e legislazione
razzista, La necessaria educazione alle buone maniere verso tutti, Il processo di
assoggettamento dei neri, Sulla schiavitù e libertà dei neri, La minaccia dell’uguaglianza
forzata tra neri e bianchi, Arte e razzismo, La causa della libertà, causa universale delle
donne, Non contro l’Indiano, ma dalla parte dei deboli.
«Fino ad ora, il mondo ha dovuto zoppicare con l’andatura traballante e l’esitanza tipica di
chi ha un occhio solo. Se improvvisamente anche l’altro occhio inizia a vedere tutto il
corpo ne trae giovamento. Egli vede ora un cerchio laddove prima riusciva a intravedere
solo un segmento. L’occhio che era stato coperto ora può vedere e ogni membro del
corpo gioisce con esso. È paradossale che ora sia proprio quell’occhio un tempo coperto a
infierire contro un’altra parte dello stesso corpo. Somiglia a una battaglia legale in cui
l’occhio afferma: “È ingiusto che a uno zoticone come il piede sia permesso di vagare a
piacimento, libero e senza ostacoli, mentre io, fonte e mezzo di luce, brillante e bello, sono
imprigionato nelle tenebre e non vengo usato”. [Nel discorso della donna bianca] […]
persino l’uomo nero per quanto rozzo, ignorante, volgare e depravato, ha il permesso di
votare, mentre lo stesso permesso continua a essere negato all’intelligente, raffinata,
nobile e pura donna bianca. Persino l’indomabile e indomito Indiano della prateria, che [a
giudizio della donna bianca] può rispondere solo ‘ugh’ alle grandi domande economiche e
civiche, è secondo alcuni degno di esercitare quel diritto di voto che è ancora negato alla
cameriera puritana e alla first lady della Virginia» 6 . In chiusura del saggio, vi è un ultimo
appello di Cooper: «Lasciate che la donna insegni al suo paese che ogni interesse umano
in questo mondo ha il diritto ad essere quantomeno ascoltato, che ogni sensibilità è degna
di rispetto, che nessuna causa indifesa deve essere calpestata, né una canna piegata
deve essere spezzata» 7 .
Nel secondo saggio del volume, L’istruzione superiore delle donne (pp. 85-112), Cooper
sostiene i diritti di eguaglianza allo studio delle ragazze, principio che, ancora oggi, non è
stato completamente raggiunto: «Occorre far capire alle nostre ragazze che da loro non ci
aspettiamo solo che siano belle e appaiano bene in società, ma qualcosa di più. Insegnare
loro che c’è una razza con bisogni speciali che solo loro possono aiutare; che il mondo ha
bisogno di loro, e sta già richiedendo i loro qualificati servigi. Se una ragazza ambiziosa
con grinta e cervello vuole intraprendere un’istruzione superiore, incoraggiatela a sfruttarla
al massimo. Fate che ci sia per una ragazza lo stesso sfavillio di trombe e battito di mani
che c’è quando un ragazzo annuncia la sua decisione di entrare all’università; e poi, dato
che sapete che lei è la candidata fisicamente più debole dei due, non fate finta di niente e
non lasciatela sola ad affrontare le difficoltà. Fatele sapere che il vostro cuore è con lei,
che la vostra mano, anche se lei non la vede, è pronta a sostenerla. Per essere chiari,
intendo dire che bisogna raccogliere fondi e istituire borse di studio nei nostri college e
università per giovani donne meritevoli e autosufficienti, per compensare e bilanciare
l’aiuto che i ragazzi che vogliono fare teologia ricevono. La giovane donna cristiana seria e
ben preparata, che sia insegnante, casalinga, moglie, madre o anche solo una presenza
silenziosa, è una missionaria potente fra la nostra gente tanto quanto il teologo; e ritengo
che la sua presenza nel Sud, data la situazione attuale, sia ancora più importante e
necessaria.
Riconosciamo dunque, qui e ora, l’importanza dell’istruzione femminile e prendiamo la
decisione di sfruttarla al meglio: non sminuendo i ragazzi, ma innalzando le ragazze» 8 .
1 Cfr. Patricia Hill Collins, Intersectionality’s Definitional Dilemmas, in «Annual Review of Sociology», n. 41,
2015, pp. 1-20.
2 Marta Visioli, Introduzione. Alle origini dell’intersezionalità: il contributo di Anna Julia Cooper, in A.J.
Cooper, Voce di una donna Nera del Sud, cit., pp. 3-24: 8-9.
3 Nota della curatrice, ibid., pp. 25-26: 26.
4 Marta Visioli e Gaia Benzi, Nota di traduzione, ibid., p. 37.
5 Ibid., p. 41.
6 Ibid., pp. 80-81.
7 Ibid., p. 82.
8 Ibid., p. 112.