A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE
8 marzo e diritti delle donne: una lunga marcia attraverso 2 secoli, rivoluzione non silenziosa né vinta per sempre
Prima e dopo l’8 marzo, vedendo, come accade ormai da anni sulla stampa, una esplosione di temi dedicati a donne, scritti soprattutto da donne, ma anche da uomini, mi sono chiesta: Se mi reco, in questi giorni pieni di mimosa, in un atelier di parrucchiera, dove molte donne si recano per rendersi graziose in attesa di una cena festosa, o in un ristorante, dove amiche allegre e finalmente sole, senza uomini, festeggiano la loro festa, e chiedo, Perché la nostra festa, proprio questo giorno e non un altro? Che significato ha? Perché, forse, siamo nate donna? Da quanto tempo si festeggia? Esiste una festa dell’uomo, in quanto nato uomo?
Ho fatto alcuni esperimenti, certo, non molti. Ho avuto come risposta occhi interrogativi, o vuoti. Non credo che avrei ricevuto, se avessi continuato, esito del tutto diverso. Ed è un peccato, perché, il non saperlo, priva, noi donne, di un retroterra storico di grandissima importanza, culturale e civile. Una piccola pezza è stata messa dal bel film di Paola Cortellesi C’è ancora domani. Che quasi ovunque, in Italia, si conclude con calorosi applausi del pubblico presente. Ma non basta. Ci vorrebbero tanti film e molte letture per comporre e dispiegare a puntate una lunga storia, che parte da molto tempo fa, più di cento anni, ormai.
Perché l’8 marzo è l’esito di una marcia lunga e accidentata. Che, come ogni storia di forte valore simbolico, contiene nel suo inizio anche fatti forse non accaduti, o non certi, ma che per il fatto stesso di essere diventati un racconto, contengono un significato simbolico pertinente. Molte notizie, o ipotesi, o ricostruzioni, le dobbiamo ad Aleksandra Kollontaj, bolscevica, che le raccolse da sue compagne tedesche. Le donne socialiste tedesche pensarono di tenere la loro festa il 19 marzo, quando, a seguito della rivoluzione in Prussia del 19 marzo 1848, alle donne presenti nel movimento rivoluzionario fu promesso il diritto di voto. Promessa fortemente politica, e non mantenuta.
Una giornata delle donne ebbe poi, a partire dall’inizio del Novecento, un andamento ballerino. Il partito socialista americano festeggiò le donne il 29 febbraio del 1909, per ricordare un grande sciopero di camiciaie a New York nel 1857, per avere un salario equo. Ma c’è chi sposta lo sciopero di migliaia di camiciaie molto più avanti, nel 1909. O forse la prima festa fu l’8 marzo perché, sempre a New York, l’8 marzo del 1908 molte operaie morirono all’interno di una fabbrica incendiata. Notizia suggestiva, non confermata da fonti attendibili. Una data certa è invece una grande manifestazione di donne a Pietroburgo l’8 marzo del 1917, per il pane e la pace, per chiedere la fine della guerra, che il governo provvisorio della rivoluzione di febbraio aveva invece confermato.
Fu dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917 che la data cominciò a essere meno ballerina. Nel 1921 la seconda conferenza internazionale delle donne comuniste decise che l’8 marzo sarebbe stata la giornata internazionale della donna operaia. E così fu, anche se non in termini “internazionali”. L’internazionalismo, grande sogno anarchico e socialista, fu incrinato, se non dissolto, dalla prima guerra mondiale, e l’internazionalismo sognato dai bolscevichi incrociò la forte crescita dei nazionalismi, che portò poi alle dittature e alla seconda guerra mondiale.
Notizie incerte e notizie certe sulla festa della donna comunque ruotano attorno a diritti, civili e sociali, al lavoro, alla fabbrica, al dire “basta” alla guerra. Allora ed oggi, questioni al centro delle vita di quasi tutte le donne. Invarianze che dicono molto di nodi non risolti, fra corsi e ricorsi. E sarà solo nel 1977 che l’ONU dichiarò l’8 marzo giornata internazionale delle donne.
Ma la storia italiana dell’8 marzo comincia prima ed è meno incerta. Il primo festeggiamento ci fu il 12 marzo 1922, il 12, perché era domenica, per iniziativa dell’appena sorto Partito comunista d’Italia. Non fu un buon inizio, fra divisioni interne al movimento operaio e fascismo imminente, che cancellò poi ogni ricerca di libertà e diritti delle donne che fossero al di fuori della sfera domestica e materna.
Ci volle la fine del fascismo e la Liberazione per avere un nuovo inizio, quando l’Unione Donne Italiane, che appena finita la guerra raccoglieva tutte le donne antifasciste, chiese che l’8 marzo fosse la giornata dedicata alle donne. In quel momento si sciolse un nodo prima inestricabile, in Italia. Fu deciso – senza particolare entusiasmo da parte dei partiti, come spiega Anna Rossi Doria nel bellissimo libro Diventare cittadine – che il voto diventasse veramente universale. I democristiani temevano che le donne votassero in obbedienza ai mariti comunisti. I comunisti temevano che le donne votassero in obbedienza al parroco. Ma non ci fu spazio per nessuna reale opposizione. Molte donne avevano partecipato direttamente alla Resistenza. Punto, e a capo, e si aprì un inedito capitolo.
Il Presidente Mattarella ha speso parole interessanti in occasione dell’8 marzo, pochi giorni fa. Una parola, in particolare, mi ha colpito, probabilmente la prima espressa da un presidente parlando di noi, donne. Siamo state e siamo protagoniste di una rivoluzione. Parola forte, rivoluzione, molto politica, e del tutto radicale, e che corrisponde a una verità storica, a partire dalla storia dell’Europa e dell’Occidente. Ma il Presidente l’ha accompagnata con un aggettivo. Una rivoluzione silenziosa. Espressione inesatta, che mi ha stupito, conoscendo l’attenzione che Mattarella presta alla scelta delle parole, attenzione che apprezzo, e non poco, in uno spazio pubblico dove le parole vengono spesso spese per vincere e non per argomentare e convincere.
In realtà, la rivoluzione delle donne, da due secoli a questa parte, è stata sicuramente quasi senza armi in senso stretto, a volte sottotraccia, ma il più delle volte ha volutamente fatto molto rumore, dalle eleganti donne inglesi, le suffragette, che chiedano il voto, alle operaie e, dalle nostre parti, braccianti, con scioperi epocali, dove erano rumorose, sempre. Sebben che siamo donne, paura non abbiamo…, canzone delle mondine del primo Novecento. Chiedevano libertà, chiedevano ai padroni di aprire la borsa, aspettavano il socialismo. Ma in premessa, per non irritare troppo, anche in famiglia, dicevano che tutto questo volevano per amore dei figli. Comunque, cantavano, a gola spiegata, e alta.
Certo, non poche donne sono state nascoste ma molto attive nella clandestinità antifascista, ma subito rumorose, appena avuta la pace, appena diventate cittadine, con le loro rumorose rappresentanti, le ventuno donne della Assemblea Costituente, che si fecero sentire, anche loro a voce molto alta, spesso in conflitto con i costituenti maschi, che le ascoltavano sbalorditi, e ottennero, scritti in Costituzione, diritti per le donne mai visti prima. Furono di tale bravura che ancora oggi, nel ripensarle, mi riempio di ammirazione. Riuscirono a fare tessitura di alte idealità, di esperienze vissute sulla loro pelle di donne antifasciste – persecuzioni e carcere – di discriminazioni nel lavoro e avendo ben presente il familismo che aveva umiliato e ghettizzato le donne viste solo come “fattrici” per la patria. Tutta la Costituzione fu la “rivoluzione promessa”, per tutte e tutti, come dice l’articolo 3, l’articolo della uguaglianza. Ma per le donne italiane fu una vera rivoluzione copernicana. Diventarono persone, cittadine, come mai prima. Fu un vero e proprio ribaltamento di cultura e di prospettiva.
Ma la rivoluzione promessa camminò lentamente, nonostante l’8 marzo e le meravigliose mimose, che dal 1945 illuminano ogni anno i nostri incontri. Il fiore fu scelto da Teresa Mattei, perché fiore di stagione, povero ma, appunto, luminoso. Ebbe il consenso di Rita Montagnana e Teresa Noce, come lei elette nella Costituente. Ma il grosso del lavoro era solo all’inizio.
Il lungo percorso delle donne nella storia repubblicana è documentato dalle tante leggi, quasi tutte da loro volute o fortemente difese, leggi che arrivano a seguito di rivoluzioni non silenziose nella società, nel corso dei decenni. Un importante libro racconta un percorso che ogni donna, per vivere in piena consapevolezza l’8 marzo, dovrebbe conoscere, qualunque sia l’età che indossa, Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia, edito dalla Fondazione Iotti nel 2013. Non solo la legge Merlin (1958), forse la più conosciuta, che vietò le case chiuse. La legge che rendeva possibile il divorzio (1970), la legge di tutela delle lavoratrici madri (1971), che vieta il licenziamento in gravidanza, il diritto di famiglia che abolisce il “capofamiglia” maschio (1975), definendo la piena parità dei coniugi, la legge che dispone la realizzazione di consultori (1975), per una procreazione responsabile, la legge che rende possibile l’aborto (1978).
Tutte leggi che derivano da indicazioni contenute in Costituzione e che leggi specifiche rendono diritti concretamente esigibili. Questo “balzo in avanti” fu possibile perché furono anni di grande mobilitazione civile, sociale e culturale, gli anni di una forte e quotidiana partecipazione, che lo storico Paul Ginsborg definisce “la grande azione collettiva”. Dal basso cominciò il cambiamento, che poi arrivò nelle Istituzioni. Erano anni in cui non si dubitava che manifestare e votare avessero o meno senso. Aveva senso e le piazze e le urne erano piene. Nonostante che negli stessi anni ci fossero forze che questa sinergia democratica fra partecipazione dal basso e Istituzioni intendevano interromperla, distruggerla, con le azioni terroristiche di forze neofasciste, a Milano, a Brescia, sui treni, a Bologna. Ci si misero poi, dal delitto Moro in avanti, anche le Brigate Rosse. Dire che sbagliavano, è troppo poco. Ferirono a fondo il nostro paese. Dal mio punto di vista, sono imperdonabili. Diedero grande ossigeno a chi, la nostra Costituzione, voleva cancellarla.
Certo, il lungo viaggio delle donne non finì, nonostante i devastanti terrorismi. Nel 1981 una legge tolse il delitto d’onore dal fascista Codice Rocco. È forse, questa, la legge che più colpisce al cuore il patriarcato, almeno nelle intenzioni. Il maschio non può fare ciò che vuole del corpo e della vita di una donna, unica proprietaria del suo corpo e, sperabilmente, della propria vita. Lo stesso forse si può dire per la legge del 1996 che definisce lo stupro reato contro la persona e non contro la morale. Donna è persona in Italia a partire dall’ articolo 3 della Costituzione del 1948, ma la Costituzione, prodotto umano, non ha poteri magici, e senza altre umane azioni, cultura, partecipazione, leggi, resta inerte. Altra legge che intende destrutturare il patriarcato è sicuramente la legge del 2000 che introduce il congedo parentale anche per i padri. La prole riguarda madri e padri nello stesso modo. Altra rivoluzione, che raccolse un primo timido mutamento culturale nel mondo dei padri. Maggiore attenzione al momento della nascita, alla cura. Timido, ma, mi pare, crescente.
Cosa sta accadendo, però in questi anni? Stanno riallineandosi pianeti ostili alla libertà delle donne, ostili al procedere democratico della politica, ostili alla uguaglianza, ostili ai diritti e ai doveri, pianeti votati invece al dominio, alla forza, al controllo, alla guerra, in senso stretto e in senso lato. È in atto una erosione di diritti, e su vasta scala, che donne della mia generazione vedono con chiarezza, potendo comparare recente passato e presente, e che donne del neo femminismo, del movimento NonUnaDiMeno, stanno mettendo al centro della loro azione. Le donne sono libere se il datore di lavoro fa firmare in anticipo una lettera di dimissioni, da datare poi, se resti incinta? Siamo fuori dalla legge del 1971. Assistenza per contraccezione e Igv, della legge del 1975? Pressoché impossibile, i consultori sono quasi scomparsi.
Lavoro nero, lavoro precario, lavoro inesistente, laddove la Costituzione parla invece di diritto al lavoro, di dignità di chi lavora, di salario equo. Lo Statuto dei diritti dei lavoratori – anno 1970 – cercò di mettere alcuni punti fermi per dare vita concreta alla Costituzione. Sono ora evidenti passi indietro, volti a colpire la libertà sindacale e il diritto di sciopero, sotto il segno di un patriarcato dai mille volti, che conosce solo la lingua della forza. Può, il patriarcato, mascherarsi da donna? Può, e non è la prima volta nella storia.
Sotto la punta dell’iceberg del femminicidio, particolarmente attivo in Italia, anche in questi primi mesi dell’anno, ribolle tanto altro, che disprezza chi vuole vivere da persona, e non da stuck, pezzo di un ingranaggio, esemplare dello stereotipo che ti si affida alla nascita, o vittima dell’onta che ti circonda per la tua fragilità o diversità. Ogni persona è una singolarità, che, certo, non è isolata. Anzi, vive di relazioni. Quelle che, secondo la Costituzione, dovrebbero renderci possibile la vita, in modo solidale. Uguaglianza e solidarietà sono ora nel mirino dei pianeti della violenza, che si stanno velocemente riallineando, nel tentativo di riavvolgere indietro il nastro della storia.
Ma donne in Russia stanno manifestando contro la guerra. Donne ebree e palestinesi, insieme, chiedono la pace. Vedo che anche in Cina si sta diffondendo un movimento femminista. Corsi e ricorsi?
E noi, donne e uomini della Costituzione, in Italia, come la mettiamo?