Femminile Maschile Plurale News BASTA VIOLENZE MASCHILI CONTRO LE DONNE

BASTA VIOLENZE MASCHILI CONTRO LE DONNE

BASTA VIOLENZA MASCHILE BELLICA
PER UN CONFRONTO (NON UN DUELLO) “DA UOMO A UOMO”, E NON SOLO…



Anni fa – era il 2006 – alcuni di noi avevano scritto un altro testo, con amici di
Maschile plurale. Diceva semplicemente: la violenza contro le donne la facciamo noi
uomini, ci riguarda. Siamo noi che dobbiamo farcene carico, impegnarci a
cancellarla. La cronaca purtroppo ci ripete quasi ogni giorno che quell’appello resta
drammaticamente urgente.
Siamo ancora lontani, ma qualcosa comincia a cambiare: è cresciuta una
consapevolezza, non pochi uomini hanno cominciato a pensare e agire con un altro
sguardo su sé stessi, sulle altre, sugli altri.
Crediamo che qualcosa di simile valga per la guerra. Di guerra si è cominciato a
parlare correntemente durante la pandemia del Covid. Il nemico era il virus! È
dilagato un linguaggio militaresco per affrontare un problema che invece richiede
cura, conoscenza, vicinanza alla vulnerabilità di tutti.
Ora la guerra c’è davvero, continua vicino a noi e nelle nostre parole e pensieri
quotidiani.
Siamo noi maschi a pensarla e a farla da secoli. È una realtà spesso rimossa. Eppure
è davanti ai nostri occhi.
Ciò che sta succedendo da un anno in Ucraina dopo l’invasione di Putin – e
succedeva già, su scala “minore”, dal 2014 e ancora prima nelle regioni del Donbass
– è inaccettabile. Centinaia di migliaia di uomini, soldati, civili, donne, vecchi e
bambini muoiono per una contesa territoriale, per le differenze di lingua e di storia,
per le mire imperialistiche della Russia, per il prevalere dei nazionalismi, per le
“logiche” del dominio del mondo che emergono tra Oriente e Occidente.
Questa guerra così “vicina”, che rischia di diventare nucleare – se ne parla ormai
“normalmente” – forse ci fa vedere meglio la tragedia di tante altre guerre aperte da
anni, ma lontane dai riflettori dei nostri media. Perché ci sono tante guerre e morti
che non vogliamo vedere.
Guerre spesso combattute con l’idea di “costruire nuove democrazie”. Per cause
considerate “giuste”. (Le mire egemoniche e imperiali non sono solo di Putin:
ricordiamo l’intervento in Iraq basato su menzogne, gli ultimi vent’anni di guerra in
Afghanistan, finiti con la vittoria di quei Talebani accusati all’origine del conflitto
come complici degli attentati alle Torri di New York). La Storia è piena di esempi che
attestano il fallimento della guerra.
In realtà le democrazie sono diminuite nel mondo dopo la fine della “guerra fredda”,
e quelle che restano non se la passano bene. In compenso interi paesi sonosemidistrutti. Milioni di esseri umani fuggono in cerca di salvezza. Massacri e esodi
continuano.
Le guerre sono eventi travolgenti e incontrollabili: spesso tradiscono le stesse
aspettative di chi le scatena.
Abbiamo provato a discuterne. Ma in un primo momento lo scambio si è bloccato
perché convinzioni diverse si sono manifestate polemicamente anche tra noi. Del
resto ci diciamo plurali e siamo molto affezionati a questo nome.
È giusto o no mandare armi agli ucraini attaccati? C’è qualche ragione dalla parte dei
Russi? E qualche responsabilità dell’Occidente che ha voluto stravincere dopo il
crollo dell’Unione sovietica?
Opinioni contrapposte. Irrigidimenti. Incomprensioni. Ferite. Risposte alzando la
voce. Ci siamo accorti che si era imboccata una strada senza uscita: vinceva anche
nel nostro linguaggio la logica amico-nemico. Su questioni che appassionano e che è
giusto approfondire. Ma quanto sono davvero nelle nostre mani?
Il conflitto avviene nelle più intense relazioni di amore e di amicizia (come tra
“popoli fratelli”): è possibile viverlo senza negare l’altro/a. Senza uccidere, aggredire,
e senza negare sé stessi. Può essere difficile, a volte difficilissimo, ma è possibile. Il
conflitto non va rimosso: ma può non essere distruttivo, mortifero. Riguarda noi
dimostrarlo.
Abbiamo provato da capo.
Ripartire da sentimenti e stati d’animo. Prima di arrivare alla geopolitica del mondo,
riconoscere la cartografia delle nostre reazioni, sensazioni, pensieri, disagi, desideri.
Un po’ come ci era capitato anni prima nella ricerca, che continua e si approfondisce,
del rapporto di ognuno con la violenza nelle relazioni tra le persone, con le donne,
figlia di una cultura patriarcale che ci attraversa in qualche modo tutti.
Il discorso e lo scambio hanno cambiato toni e contenuti. È emersa una sensazione
di angoscia e di impotenza. La difficoltà a farsi un’idea sufficientemente fondata di
ciò che accade, tra tanta propaganda e – come in ogni guerra – tante bugie e
censure. È stato raccontato il rifiuto di alcuni, fino a quel momento, anche solo di
parlarne, proprio per evitare di cadere subito negli equivoci ideologici e nello
scontro degli schieramenti.
La guerra ha un enorme potere pervasivo e persuasivo, ottiene facilmente la
militarizzazione del linguaggio, dei sentimenti, anche se le battaglie non si
combattono qui. Lo vediamo sui media. Ma capita a noi stessi.
Sospettiamo che, nel momento in cui il patriarcato è messo per la prima volta nella
storia in discussione dalla rivoluzione delle donne, nel momento in cui entrano in

crisi i luoghi sociali e i riferimenti simbolici che hanno dato senso alla vita degli
uomini, la guerra assuma anche un significato consolatorio, paradossalmente
rassicurante per una parte (quanto grande?) dei maschi. Ciclicamente – è stato detto

  • la guerra e la violenza politica si sono presentate come opportunità per rifondare
    un’identità virile in crisi, minacciata dal cambiamento, che cercava un “corpo
    collettivo” maschile e una “missione” per ritrovarsi.
    È tornata l’immagine della guerra come stupro. Ci si è chiesti il perché dell’inefficacia
    del pacifismo. La guerra resta ancora un “gioco eccitante”. La passione per gli
    scacchi, per la propria squadra. Per il combattimento. Praticare la nonviolenza è
    difficile per chi ragiona – più o meno consapevolmente – con una mentalità
    maschilista? Come mai nei movimenti nonviolenti e pacifisti quasi mai emerge una
    riflessione sulla matrice maschile della guerra?
    Alcuni hanno confessato di aver provato la pulsione a ingaggiare un “duello”:
    quell’automobilista a momenti investiva la mia bambina, se non mi avesse fermato la
    mia compagna lo avrei sfidato…
    Il primo teorico della guerra moderna, Clausewitz, famoso per aver detto “la guerra
    è la continuazione della politica con altri mezzi”, apre il suo trattato con un’altra
    definizione: “…ci atterremo alla sua forma elementare: il combattimento singolare, il
    duello. La guerra non è altro che un duello su larga scala”. Che si trattasse di due
    maschi (e quindi di opposte schiere di maschi) era implicito, scontato, e ancora una
    volta rimosso.
    Perché la guerra contribuisce alla costruzione identitaria: armi giocattolo, film e
    videogiochi violenti, la “scuola” delle bande giovanili e dei bullismi nelle aule.
    Ci sono, tra noi, uomini che si occupano di altri uomini – in percorsi giudiziari o
    volontari – che hanno agito violenza: imparano a riconoscerla in modo sottile anche
    nei nostri comportamenti e linguaggi.
    Si è discusso del fatto che oggi anche le donne – alcune donne – desiderano entrare
    nel “gioco” della guerra, e lo fanno. Un amico è stato colpito dalla notizia che in
    Ucraina c’è anche un battaglione di volontari/e del mondo glbtqia+: persone che si
    sentono “incluse” in una società diffidente, o apertamente ostile, soltanto ora che
    rischiano la vita per la “patria” (la terra dei padri).
    Sono prove di libertà, o è un’idea di “parità” che accoglie – “include” – in un ordine
    maschile ancora dominante?
    È tornata la memoria, per chi c’era, di quelle immagini degli aerei di linea pilotati da
    terroristi che centrano le Due Torri di New York, all’inizio del millennio.

Qualcuno ha citato Tiziano Terzani: voleva intitolare un suo articolo su quell’attacco,
scandalosamente, “È una buona occasione”. Lo pubblicò il Corriere della Sera diretto
da Ferruccio de Bortoli, ma cambiando il titolo.
“Buona occasione” perché? Per conoscere meglio il “nemico” (i terroristi islamici, ma
per molti/e l’intero mondo islamico), capirne le motivazioni, per aberranti che siano
o ci appaiano, e capire meglio anche noi stessi. Cercare così mediazioni capaci di
evitare i massacri.
Proviamo a rileggere alcune parole di Terzani dopo l’11 settembre 2001:
“…mi venne da pensare che quell’orrore a cui avevo appena assistito era… una
buona occasione. Tutto il mondo aveva visto. Tutto il mondo avrebbe capito. L’uomo
avrebbe preso coscienza, si sarebbe svegliato per ripensare tutto: i rapporti fra Stati,
fra religioni, i rapporti con la natura, i rapporti stessi fra uomo e uomo. Era una
buona occasione per fare un esame di coscienza, accettare le nostre responsabilità di
uomini occidentali e magari fare finalmente un salto di qualità nella nostra
concezione della vita”. (Tiziano Terzani. Lettere contro la guerra – Il Cammeo –
Longanesi. Edizione del Kindle).
Anche Terzani dice “uomo” intendendo tutta l’umanità, variamente sessuata.
Comunque, purtroppo, non è stato così. La risposta al terrorismo di matrice islamica
è stata ancora una volta la guerra e solo la guerra. Con in più, in nome di una
emergenza che non finisce mai, la rottura delle regole dello “stato di diritto” che
dovrebbe essere il fondamento delle democrazie.
Cerchiamo di non perdere di nuovo l’”occasione” che viene dall’orrore di questa
nuova guerra “nel cuore dell’Europa”. Un “cuore” collocato tra Ovest e Est del
continente, dove gli scontri tra nazionalismi, dittature, razzismi sono stati terribili
lungo due secoli: dovremmo ascoltarlo più attentamente il battito e il ritmo di
questo cuore. Cogliere le radici dei sentimenti negativi che rendono possibile la
guerra, al di là dell’uso strumentale della memoria e della storia.
Non cerchiamo l’adesione alle idee che qui sono abbozzate. Proponiamo prima di
tutto un incontro e uno scambio, anche – anzi, soprattutto – tra chi la pensa
diversamente. Vorremmo occasioni di incontro. Ascoltando chi si “dimette dalla
guerra” in Russia, in Ucraina, nel mondo. E chi pensa invece che la resistenza armata
sia l’unica risposta possibile contro gli invasori, i nemici.
Con uomini che abbiamo voglia di discutere e di riflettere con noi. In uno spazio
aperto alle donne. Alle persone di ogni orientamento e identità sessuale, o di
genere.

Cominciamo dalla ricerca di un linguaggio che non sacrifichi subito il desiderio di
conoscersi e di capirsi alla certezza consolante di appartenere a uno schieramento.
La “schiera” è per l’appunto l’”unità dell’esercito, o parte di essa, disposta su una
determinata linea” (vocabolario Treccani). Un modo di essere votati al
combattimento, e alla morte.
Preferiamo vivere.

Angelo Albero
Tommaso Banfi
Pietro Buscicchio
Mario Castiglioni
Stefano Ciccone
Nino De Giosa
Marco Forlani
Gianluca Giraudo
Mario Gritti
Orazio Leggiero
Alberto Leiss
Olivier Malcor
Nicolò Marchesini
Domenico Matarozzo
Alessio Miceli
Giovanni Niccoli
Beppe Pavan
Ermanno Porro
Filippo Rea
Antonio Romeo
Francesco Seminara
Mrco Vanelli
Giancarlo Viganò
Danilo Villa
Claudio Tognonato

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