di Marina Mannucci
La nostra rabbia è energia rinnovabile
slogan che ha unito il 3 marzo 2023
le piazze di tutto il mondo
per lo Sciopero globale degli ambientalisti climatici.
Classe 2002, Simone Ficicchia è un attivista di Ultima Generazione che ha
partecipato a numerose campagne (tra cui Non paghiamo il fossile) e
dimostrazioni di disobbedienza civile nonviolenta. A seguito di azioni come
l’incollamento al vetro della Primavera di Botticelli agli Uffizi o l’imbrattamento
con vernice lavabile alla Scala di Milano ha ricevuto una richiesta di
Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza, poi rigettata dal Tribunale di
Milano.
Simone, nella premessa del suo primo lavoro letterario, scrive:
«Questo libro è per le compagne donne e per tutte quelle identità femminili
che hanno fatto parte della mia vita ricordandomi dell’oppressione che vivono
in questo mondo patriarcale. Per tutte coloro che hanno messo a nudo di
fronte a me, privilegiato, qualcosa che non è mai facile tirare fuori, non
potendosi fidare del fatto che dall’altra parte si verrà poi credute. Anche in
questo libro, ogni frase sarà una pietra d’inciampo per il dolore di chi da
questo sistema viene quotidianamente schiacciata: in presenza di più
persone identificate in diversi generi, i plurali saranno volti tutti al femminile.
Probabilmente chi leggerà sarà inizialmente disturbata o disturbato da questo
cambio delle regole grammaticali a cui siamo abituate e abituati, ma proprio
questo potrà aiutarci a riflettere sull’enorme squilibrio che esiste nel mondo,
anche mentre leggiamo o parliamo. Un linguaggio differente non cambierà
certo da solo una serie di discriminazioni intersecate di genere, di etnia, di
classe o di specie, connaturate con il sistema di produzione attuale e la
cultura a esso attinente. Tuttavia, questo femminile politico vuole essere un
tentativo di rappresentazione linguistica di tutte le soggettività oppresse ed è,
fra le varie prassi che si sono diffuse in questi anni nei vari movimenti per un
linguaggio più inclusivo possibile, il sistema con cui mi sono trovato
personalmente più in sintonia anche nel parlato».
La Treccani definisce così il vandalismo: «Tendenza a rovinare, distruggere,
guastare senza necessità e senza ragione, per gusto perverso o per sciocca
e malintesa ostentazione di forza, o anche per incapacità a comprendere la
bellezza e l’utilità delle cose che si distruggono»; le azioni compiute da Ultima
Generazione, invece, vengono compiute su “cose” che sono riconosciute
«come beni superiori per bellezza o valore, a tal punto da dar seguito al
bisogno di utilizzarli per far parlare (e agire) in merito all’unica cosa che
conta nel 2024: trovare il modo collettivo per salvarsi la pelle».
La storia di Simone Ficicchia riguarda forse l’Ulima Generazione che può fare
qualcosa per uscire dalla catastrofe ambientale e dall’inganno di una crescita
infinita. È in questo contesto che devono essere ascritti blocchi stradali e
azioni volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi e che permette di
individuare il senso che può avere per “queste giovani attiviste” di rischiare di
rovinarsi la vita per lottare per il clima. Ficicchia in questo suo primo lavoro
letterario racconta come nasce l’idea di un metodo di protesta che consiste
nell’imbrattare monumenti, palazzi, opere d’arte, partendo dalle tesi veicolate
dalla disobbedienza civile nonviolenta.
In quarta di copertina:
«Alla data di pubblicazione di questo libro, il Climate Clock – l’“orologio
climatico” che scandisce gli anni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti e i secondi
che rimangono prima che la temperatura globale aumenti di 1,5°C, con tutte
le conseguenze che ciò comporterà – segnerà circa 5 anni e 95 giorni per
agire. Solo cinque anni per promuovere azioni concrete che ci permettano di
uscire dall’era dei combustibili fossili e della devastazione ambientale. Gli
effetti della crisi climatica sono già sotto i nostri occhi, come le scene di un
colossal apocalittico: alluvioni devastanti, caldo anomalo, ghiacciai che
scompaiono. Eppure, chi potrebbe avere un ruolo decisivo in questa
emergenza troppo spesso si gira dall’altra parte, fingendo di non vedere».