Il saggio della giornalista Jennifer Guerra, classe 1995, tratta della
congiuntura tra neoliberalismo, inteso come ideologia dominante della nostra
società, e femminismo. L’autrice si interroga su attivismo e capitalismo,
analizza lotte concrete e artifici commerciali, fino a prendere in
considerazione il fenomeno della serie televisiva statunitense Girlboss. «Il
fenomeno che tenterò di descrivere è chiamato in vari modi: femminismo
liberale, femminismo neoliberista, femminismo pop, lipstick feminism, lean in
feminism, equity feminism, femminismo della scelta, pseudofemminismo,
postfemminismo. Nessuno di questi termini riesce però a esprimere il cuore
della questione, dal momento che ci si limita a caratterizzare la parola
“femminismo” con un aggettivo, spesso generando ulteriore confusione in chi
non sa nulla dell’argomento. […] La recente riemersione del soggetto politico
femminista in un paradigma economico che non si fa scrupoli a capitalizzare i
temi sociali in nome del profitto ci pone di fronte a delle sfide nuove. Il primo
nodo da sciogliere è se le aziende e i brand si meritino il “patentino” del
femminismo e il secondo, la cui risposta pare meno scontata, è come tale
nuova postura della brand identity influenzi la pratica femminista. Per tentare
di dare una risposta a queste domande, è necessario capire come si è
arrivati a questo punto».
Nel primo capitolo, dal titolo Tre brevissime storie pp. 3-30), l’autrice
ricostruisce il racconto del femminismo, del neoliberismo e del post-
femminismo. Nel secondo capitolo, Vorrei parlare con la Ceo del femminismo
(pp. 31-64) viene teorizzato come il femminismo, da movimento antagonista
al potere, ne sia diventato parte integrante attraverso la sua
istituzionalizzazione. Il terzo capitolo Spettri della nostra vita (pp. 65-110)
vengono presentate quattro figure chiave del femminismo contemporaneo: le
vittime della violenza maschile, le celebrity, le madri e le attiviste. L’ultimo
capitolo, È il mercato, bellezza! (pp. 111-151), prende in considerazione gli
sviluppi del femminismo neoliberale nella società di mercato. Nel capitolo
conclusivo, Contro il femminismo della mortificazione (pp. 152-157), l’autrice
afferma che «il femminismo ha il dovere di rimanere una teoria critica verso
l’esterno e anche verso l’interno, perché, come è stato ripetuto più volte in
queste pagine, nel momento in cui il senso stesso del femminismo si diluisce
in una molteplicità di libere interpretazioni, allora questa parola si svuota di
significato. Ma la necessità di ancorarsi al femminismo, se vogliamo, anche di
proteggerlo da chi se ne vuole appropriare per il proprio interesse, non deve
trasformarsi in moralismo. […] Il femminismo non è una gara a chi si mortifica
di più. Il femminismo non è ostracizzare chi si comporta male e non risponde
ad arbitrari standard di perfezione morale».
Jennifer Guerra (1995) è scrittrice e giornalista. I suoi articoli sono apparsi
su «La Stampa», «Sette», «l’Espresso» e «The Vision». È autrice di Il corpo
elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (Roma, Tlon, 2020), Il capitale
amoroso. Manifesto per un eros politico e rivoluzionario (Milano, Bompiani
2021) e Un’altra donna (Torino, Utet 2023).