Ritengo (Si ritiene) molto importante pubblicare il comunicato stampa e la lettera aperta ai docenti universitari redatti, nell’agosto 2024, dall’Associazione Donne Magistrato Italiane per stigmatizzare le affermazioni contenute nell’ultima edizione del Manuale di Diritto Privato del prof. Francesco Gazzoni, il quale, riesumando vecchi stereotipi di genere, scrive che le donne rivelano “…un equilibrio instabile nei giudizi di merito in materia di famiglia e figli…”.
L’Associazione Donne Magistrato Italiane (A.D.M.I.), è stata costituita nel 1990 da donne magistrato; è senza fini di lucro, indipendente da qualsiasi altra organizzazione ed ha sede in Roma presso il palazzo di Giustizia. Ha come fine l’approfondimento dei problemi giuridici, etici e sociali concernenti la condizione della donna nella società e la promozione della professionalità della donna magistrato. Nel settembre 1991 ha ratificato l’atto costitutivo e lo statuto dell’I.A.W.J.- International Association Women Judges, di cui attualmente fanno parte oltre tremila magistrati dei diversi Paesi dl mondo- diventando, così, socia cofondatrice. Su sollecitazione dell’associazione stessa, il Consiglio Superiore della Magistratura ha istituito il Comitato di studio per le pari opportunità del quale fanno parte anche tre componenti dell’A.D.M.I.
Danila Indirli, Mediatrice del Centro italiano di Mediazione e Formazione alla Mediazione (C.I.M.F.M.) di Bologna, già Magistrata presso la Corte d’Appello di Bologna.
Di seguito il Comunicato
A.D.M.I. Associazione Donne Magistrato Italiane esprime profondo sconcerto in riferimento alle seguenti affermazioni contenute nell’edizione 2024 del Manuale di Diritto Privato del Prof. Francesco Gazzoni, destinato alla formazione delle future generazioni di giuristi ovvero di coloro che saranno impegnati anche per la tutela del valore universalmente riconosciuto della non discriminazione: “I Magistrati…appartengono in maggioranza al genere femminile, che giudica non di rado in modo eccellente , ma è in equilibrio molto instabile nei giudizi di merito in materia di famiglia e figli…..Senza contare che essi appartengono alla categoria degli psicolabili” pag. 51 ,Cap IV.3.
Tali affermazioni, corroborate da un richiamo a risalente giurisprudenza del 2007, risultano ancora più gravi e pericolose perché provengono da un accademico, pur da tempo in pensione, e sono, all’evidenza, espressione di una cultura maschilista, imbevuta di stereotipi di genere, che denigrano, delegittimano ma anche irridono ed offendono tutta la magistratura e, soprattutto, quella parte della componente femminile quotidianamente impegnata nella trattazione dei procedimenti delicati che toccano i diritti personali e personalissimi dei cittadini, generando nei lettori e, quel che è più grave nei discenti, una distorta visione dell’esercizio della giurisdizione.
Desta ancora forte amarezza la grave svalutazione del significativo apporto di sensibilità, di esperienza e di conoscenza che le magistrate forniscono all’evoluzione della giurisprudenza anche in un settore quale quello della tutela delle persone “vulnerabili”. Lascia increduli, non si può celarlo, leggere nel 2024 espressioni che riportano alla mente le obiezioni che negli anni ’50 si levavano dai settori più corrivi della società contro l’ingresso stesso delle donne in magistratura.
Fermo il principio della libertà di pensiero e di insegnamento, ADMI auspica che il mondo accademico si unisca alle preoccupate critiche qui espresse anche e soprattutto per evitare che, per l’indiscusso prestigio scientifico del suo Autore, quelle affermazioni possano concorrere a formare il bagaglio culturale delle prossime generazioni di giuristi in modo così gravemente distorto, lontano dai principi costituzionali e ingeneroso dell’impegno della Magistratura tutta, e della sua componente femminile, volto all’affermazione nella Giurisdizione di quei principi che pensavamo oramai patrimonio culturale comune e per la cui affermazione continueremo la nostra opera di testimonianza.
LETTERA APERTA AI DOCENTI UNIVERSITARI
Roma 6 agosto 2024
Gentili professoresse e ricercatrici, gentili professori e ricercatori,
«Soltanto l’affermazione e il rispetto della dignità delle donne rendono possibile una società autenticamente
democratica».
In queste alte parole, pronunciate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in
occasione della Giornata internazionale della donna, noi magistrate e magistrati della
Repubblica sentiamo, tutte e tutti, di riconoscerci pienamente.
Sancendo l’eguaglianza e la parità tra tutte le persone, senza distinzioni di sesso, la nostra
Carta costituzionale ha infatti indicato e prescritto la via di un’autentica svolta civile, un
profondo cambiamento culturale, prim’ancora che giuridico, che noi tutte e tutti sentiamo
il dovere di promuovere e difendere: la piena ed effettiva parità di genere, che costituisce,
ancor oggi, non soltanto una grave questione sociale, ma soprattutto una grande questione
educativa e culturale, da affrontare quindi attraverso l’educazione all’eguaglianza, al
rispetto reciproco e al rifiuto di ogni forma di selvaggio pregiudizio.
Per questo, di fronte alle frasi che compaiono nel Manuale di diritto privato di Francesco
Gazzoni – ove le magistrate italiane sono dipinte quali persone «in equilibrio molto instabile
nei giudizi di merito in materia di diritto di famiglia» – sentiamo l’esigenza di non rimanere in
disparte, avvertiamo il bisogno di non restare in silenzio.
Il rispetto verso le donne e la loro dignità può essere declinato in tante forme, così come
in altrettanti modi può essere aggredito, travolto, demolito. Tra questi ultimi, il linguaggio
e le parole, specie quando trasmettono palese disprezzo verso il genere femminile,
costituiscono un potente strumento di negazione della dignità personale della donna, di
ogni donna e di tutte le donne.
Ecco perché riteniamo inaccettabili, in uno Stato di diritto fondato sull’uguaglianza e sulla
pari dignità di ogni persona, parole come quelle che compaiono nel manuale di Francesco
Gazzoni, che sono evidentemente alimentate da ottusi stereotipi e in grado, a loro volta,
di generare e perpetuare altrettanti inaccettabili pregiudizi.
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Ecco perché riteniamo che tali parole costituiscano un’intollerabile forma di tradimento
di quella promessa di eguaglianza, sancita dalla Costituzione, su cui si fonda l’idea stessa
di comunità democratica.
Ecco perché riteniamo che quelle parole rappresentino un esempio di diseducazione civica
e di profonda umiliazione della dignità di tutte le donne, che intendiamo contrastare con
forza e determinazione.
Non possiamo tacere, poi, delle altre frasi, sempre presenti in quel manuale, che parlano
dei magistrati come di persone appartenenti «non di rado alla categoria degli ‘psicolabili’».
Si tratta di parole altrettanto inaccettabili, per il gratuito dileggio e le gravi offese che
veicolano nei confronti della magistratura tutta.
Si tratta di parole che, agli occhi degli studenti universitari, colpiscono l’immagine di
un’istituzione cui la nostra Carta fondamentale ha affidato il compito di tutelare i diritti
delle persone, attraverso l’applicazione della legge, e di garantire così valori fondamentali
quali sono, in uno Stato democratico, l’uguaglianza e la pari dignità personale.
Si tratta di parole in grado di minare e incrinare già oggi, agli occhi dei giuristi di domani,
la fiducia in quell’istituzione cui la collettività deve rivolgere le sue istanze di giustizia.
Noi tutte e tutti, ancora, crediamo fermamente negli Atenei quali luoghi in cui, educando
alla ricerca e trasmettendo cultura e sapere, si contribuisce a superare vecchie barriere
culturali, ad abbattere quei ritardi e quelle resistenze culturali che hanno costellato la via
dell’effettiva parità tra donne e uomini, a rinsaldare la fiducia verso le istituzioni della
Repubblica e nella nostra comunità democratica.
Ci affidiamo, pertanto, alla vostra sensibilità con riguardo alla scelta dei testi da adottare
nell’ambito dei corsi universitari, consapevoli che gli Atenei italiani continueranno in
questa loro missione, cruciale per lo sviluppo democratico del nostro Paese, di educazione
alla cultura dell’eguaglianza e di rifiuto di ogni forma di linguaggio gratuitamente offensivo
e discriminatorio.