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Cosa sta succedendo in Palestina?

Testimonianza sul conflitto in Medio Oriente

di Marina Mannucci

pubblicato il 25 maggio 2021

da http://www.ravennawebtv.it

Ripubblichiamo qui un articolo di Marina che ci permette ancora di più di comprendere la situazione attuale.

Il racconto di Hakima Hasan Motlaq fondatrice del Retaj Women Center di Asira al-Qiblya in Cisgiordania

«Mi chiedo come Israele possa definirsi civile e democratico,
se per stanare e uccidere un suo nemico nascosto in un edificio abitato
il suo esercito non esita un attimo ad abbatterlo
seppellendoci sotto decine di innocenti»

Vittorio Arrigoni

Nel mese di aprile del 2014 la rivista mensile “TrovaCasa”, Reclam edizioni, pubblicava un mio reportage dal titolo This Land is my Land in cui, oltre a parlare della presentazione del film Shoot, avvenuta a Ravenna nel gennaio antecedente, avevo intervistato l’ospite dell’incontro Hakima Hasan Motlaq.
Hakima, fondatrice e presidentessa del Retaj Women Center, un centro per donne ad Asira al-Qiblya in Cisgiordania, in quell’occasione aveva parlato degli attacchi che il suo villaggio subiva quotidianamente da parte dei coloni e dell’esercito israeliano e anche del sequestro di sorgenti e pozzi utilizzati dai palestinesi per l’agricoltura e per uso domestico, sempre a opera dei militari.
Alcune riprese del film Shoot erano state girate dal fotoreporter Odai Qaddomi, anche lui presente all’evento, il quale, in quell’occasione, aveva raccontato che il suo villaggio di Kuffr Qaddum era sotto occupazione da dieci anni, da quando Israele aveva chiuso la strada principale per costruirvi un insediamento illegale di coloni. Con Hakima decidemmo che, appena tornata in Cisgiordania, mi avrebbe inviato notizie per realizzare un articolo sulla situazione geopolitica del territorio in cui viveva.

In seguito alla recente recrudescenza del conflitto, ho contattato Hakima e Odai per sapere come stavano e, dopo essere stata rassicurata sulle loro condizioni, con Hakima abbiamo ripreso il filo del racconto. All’interrogativo Cosa sta succedendo in Palestina?, lei mi scrive:

«La risposta a questa domanda deve prendere in considerazione molti aspetti; in effetti non so da dove cominciare. Potrei partire dal quartiere di Sheikh Jarrah, in cui cinquecento dei residenti originari di Gerusalemme vivono, e dove una colonia di insediamento sta cercando di giudaizzarli e di dislocare i suoi abitanti originari col pretesto di prove scritte e contratti che provano il loro possesso della terra. Sheikh Jarrah, purtroppo, non è l’eccezione ma la norma.
Potrei parlarti del regime di apartheid col quale lo Stato occupante, divide gli arabi e gli ebrei o di quello che sta succedendo a Gaza, che è soggetta quotidianamente a bombardamenti che prendono di mira soprattutto i civili, i condomini residenziali e infine perfino le strutture sanitarie. Oppure posso parlare delle restrizioni, delle barriere, degli arresti e della dispersione dei dimostranti che sono contro tutto quello che sta avvenendo in Sheikh Jarrah o a Gaza, o quello che sta avvenendo nella Palestina storica.
Ti racconto la storia di Sheikh Jarrah. Si tratta di un quartiere di Gerusalemme nei pressi della Città Vecchia, più precisamente della terra di Karam al-Ja’ani. Una volta finita la guerra del 1948, il quartiere passò sotto il controllo della Giordania, la green line. Nel 1956 fu firmato un accordo tra il governo della Giordania e l’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees – L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi) che provvide a dare alloggio a ventotto famiglie palestinesi di rifugiati che avevano mantenuto il diritto di ritornare al loro paese di origine, il paese da dove erano stati espulsi. Secondo il concordato, ogni famiglia doveva avere una porzione di terra a Karam al-Ja’ani e su di essa una casa privata. Trascorsi tre anni, terra e casa sarebbero dovute diventare di proprietà delle famiglie, cosa che non è mai successa perché nel frattempo “colonie di insediamento” di ebrei hanno iniziato a reclamare la proprietà delle terre. L’accordo, infatti, fu affossato nel 1967, quando Gerusalemme Est fu occupata da Israele. La legge israeliana favorisce, di fatto, i coloni permettendo solo agli israeliani di rivendicare le proprietà che dichiarano di aver posseduto prima del 1948, negando però lo stesso diritto ai palestinesi.
Sin dal 1972, anno in cui hanno iniziato a richiedere l’evacuazione dei residenti dalle loro case, i coloni sono riusciti a controllare quattro case e mezzo e a far traslocare un certo numero di famiglie. All’inizio del 2021 il tribunale di occupazione centrale ha emesso una nuova sentenza dando alle famiglie di Karam al-Ja’ani, Quassim, Escavi e Al Kard tempo fino al 2 maggio per lasciare libere le loro case, e “concedendo” alle famiglie di Daoudi, Dajani e Hamed tempo fino al prossimo agosto. Inoltre la corte ha emesso la sentenza di sfratto per la famiglia di al-Sabbaghs. Come risultato, ventotto famiglie palestinesi, circa 550 individui, sono a rischio di deportazione da Gerusalemme nei prossimi mesi. In special modo il tribunale di occupazione si è dimostrato completamente dalla parte dei coloni rifiutandosi di considerare i diritti e le richieste dei residenti. Israele pianifica di costruire un insediamento sulle rovine di queste case palestinesi, connettendosi così ai suoi insediamenti nel circondario, dall’Università giudaica fino all’est, attraverso gli insediamenti di Karam al-Mufti. Hanno raggiunto Street 1 e i sobborghi a ovest di Gerusalemme, cancellando la presenza palestinese e disperdendo gli originari proprietari della città.
Gli attivisti sui social media palestinesi hanno iniziato a pubblicare qualcosa riguardo al problema di Sheikh Jarrah; le persone che vivono a Gerusalemme hanno iniziato a dimostrare quotidianamente, malgrado la repressione spesso violenta della polizia. Tutti i palestinesi si sono mossi a supporto di Sheich Jarrah. Era chiaro ai palestinesi che “se c’è una dislocazione dei residenti di Sheich Jarrah, questo significa ripristinare Nakba” (“catastrofe”, cioè l’esodo palestinese a seguito della guerra civile del 1947-1948).
Ancora una volta è chiaro a ogni palestinese che quello che sta accadendo a ogni residente del vicinato, può accadere a lui. Come al solito, l’occupazione israeliana sopprime le dimostrazioni e abusa dei palestinesi. In questo caso le cose non si sono fermate lì, ma sono andate oltre con l’attacco ai fedeli nella moschea di Al-Aqsa. I palestinesi si sono mossi per difendersi dagli attacchi e dalle discriminazioni contro di loro. Manifestazioni hanno avuto luogo in Lod, Haifa, Jaffa, Umm-alFah, Nazareth, Gerusalemme e tutte le aree della Palestina occupate da Israele nel 1948, ma gli occupanti hanno reagito con bombe lacrimogene, bombe sonore, pallottole di gomma, proiettili veri e gettando loro addosso acque di scarico! Le cose non si sono interrotte qui: i coloni sono entrati dappertutto nella Palestina portando armi e terrorizzando i palestinesi con il sostegno dell’esercito di occupazione israeliano».Palestina Occupazione Territorio

La sottrazione progressiva del territorio palestinese con l’avanzare dell’occupazione israeliana

Questo il racconto inviatomi da Hakima in inglese, che, grazie anche all’aiuto di Patrizia De Angelis, abbiamo tradotto in italiano.
Dall’inizio del conflitto a Gaza, almeno sessanta bambini sono stati uccisi e altri 444 sono stati feriti in meno di dieci giorni. Circa 30.000 bambini sono stati sfollati. Si stima che 250.000 bambini abbiano bisogno di servizi di protezione per la salute mentale. Almeno quattro strutture sanitarie e quaranta scuole sono state danneggiate. Circa quarantotto scuole – la maggior parte gestite dall’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi) – vengono usate come rifugi d’emergenza per le famiglie che cercano rifugio dalle violenze. I sistemi idrici e igienico-sanitari, già indeboliti, sono stati ulteriormente compromessi come risultato di quest’ultima escalation. Le infrastrutture essenziali – fra cui pozzi e serbatoi di acqua di falda, impianti di desalinizzazione e di trattamento delle acque reflue, reti di distribuzione dell’acqua e stazioni di pompaggio – hanno subito danni significativi. Si stima che 325.000 persone abbiano bisogno di servizi idrici e igienico-sanitari di emergenza, senza i quali è più facile che contraggano malattie infettive potenzialmente letali. Quasi la metà degli abitanti di Gaza non ha cibo a sufficienza, il tasso di disoccupazione è arrivato oltre il 40% e circa 23.550 persone sono ancora senza casa dalla guerra del 2014. Gli effetti del blocco israeliano nella vita di tutti i giorni sono un commercio praticamente inesistente, famiglie divise e persone che non possono muoversi per curarsi, studiare o lavorare. Oltre il 65% degli studenti delle scuole gestite dall’Unrwa a Gaza non riescono a trovare lavoro a causa delle dure condizioni di vita, dell’aumento della povertà e dei tassi di disoccupazione.

Dobbiamo porci delle domande: cosa sarebbe successo se Israele non avesse provocato i palestinesi a Gerusalemme?
Cosa sarebbe successo se anche dopo queste provocazioni Israele avesse rinunciato a una prova di forza e ritirato i suoi violenti agenti di polizia dal complesso di Al-Aqsa, o non avesse bombardato le torri residenziali di Gaza, per evitare una guerra?
Cosa sarebbe successo se l’ONU non fosse rimasta scandalosamente in silenzio?
Cosa sarebbe successo se, invece di ascoltare leader occidentali che chiedevano pateticamente la calma da entrambe le parti, come se entrambe le parti condividessero la stessa colpa, fosse stata avviata un’iniziativa diplomatica internazionale per fermare in tempo la crisi arrivata sull’orlo del baratro?

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