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Crisi climatica, genere e intersezionalità: narrazioni r-esistenti della climate fiction

Pubblicato il 29 Giugno 2023

di MARINA MANNUCCI

su www.centroriformastato.it

«The flood itself had been straight out of an apocalypse movie, but the aftermath was something else»
C. Morgan Babst, The Floating World

La crisi ecologica è stata spesso descritta come uno sconvolgimento che riguarda l’essere umano in generale senza tenere conto delle vulnerabilità indotte da disuguaglianze prodotte da ruoli di genere, discriminazione e povertà. Di fatto le donne, a lungo escluse dai processi decisionali ambientali a livello globale, sono le vittime principali del cambiamento climatico; per quelle che sopravvivono ai disastri ambientali aumenta la possibilità di aggressioni sessuali, della prostituzione minorile, dell’abbandono dell’istruzione; inoltre, la morte di molte madri porta all’aumento dei matrimoni infantili. Lo studio della relazione tra genere e crisi ambientale non può prescindere da un’analisi femminista delle disuguaglianze di genere strutturali e quindi da approfondimenti sul genere come sistema di relazioni di potere1. Ciò significa focalizzare il ruolo delle mascolinità nel determinare il sovraconsumo e lo sfruttamento delle risorse naturali e l’elaborazione di una giustizia climatica intersezionale che consideri la crisi ecologica come un problema etico e politico, oltre che ambientale, e che sottolinei sia le diverse responsabilità nell’alterazione del pianeta che le disuguaglianze strutturali alla base delle diverse vulnerabilità.

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Negli ultimi vent’anni l’incremento degli studi delle Environmental Humanities-ScienzeUmane Ambientali ha creato ponti tra discipline differenti, nella convinzione che la crisi climatica non possa essere affrontata e risolta da singoli contributi settoriali, ma dal dialogo di tutti i saperi2. La natura e la sua degradazione, l’ambiente e la sua trasformazione, il cambiamento climatico e l’impatto antropico sono stati e sono oggetto di testi letterarie l’ecologia letteraria o ecocritica analizza queste opere.

Chiara Xausa ha conseguito la laurea magistrale in Filologia moderna presso l’Università di Padova, il Master europeo GEMMA sugli Studi di Genere, ha seguito un Dottorato di Ricerca presso l’Università di Bologna, dove ha discusso una tesi su ecofemminismo e studi di genere, ha ricevuto il Premio Elena Lucrezia Cornaro Piscopia dell’Università di Padova per le sue ricerche sugli studi di genere in una prospettiva internazionale, ha realizzato ricerche per avviare intersezioni di saperi in grado di affrontare la crisi climatica planetaria.

Attraverso le sue ricerche, Xausa ha analizzato anche la climate fiction, cosiddetta cli-fi, fantascienza climatica, studiando le modalità con cui questo filone narrativo, attraverso romanzi, film fumetti e altre opere affronta il tema del cambiamento in corso: “La maggior parte delle opere climate fiction è scritta in Europa o Nord America e ha quindi una prospettiva molto ‘bianca’ alla crisi climatica:le esperienze della crisi che vengono riportare in narrativa sono calate e trovano senso in società ed economie tipiche di questo angolo di mondo.Esistono invece aree del mondo in cui la crisi climatica viene vissuta in modo totalmente diverso, sia per il tipo di forma mentis che orienta le persone che ci vivono, sia per il tipo di esperienze concrete che esse affrontano tutti i giorni. Per esempio […] tra i romanzi di cui mi sono occupata, ce n’è uno di un’autrice aborigena australiana dal quale emerge che anche la natura ha una propria vitalità: l’esperienza dalla natura è un’esperienza quasi interpersonale, con un ‘chi’, non con un ‘cosa’. In questa cornice di senso, senza banalizzare, il cambiamento climatico e la violenza verso la natura vengono vissute in modo diverso. [D’altro canto,] per le popolazioni aborigene e native l’esperienza dalla natura ha una storia di esproprio delle proprie terre da parte dei colonizzatori, che con esse e con lo sfruttamento di esse si sono arricchiti, per cui le rivendicazioni ambientaliste si legano a rivendicazioni sociali, economiche, anti-razziste. Come dicevo, le diverse crisi sono collegate”3.

Nei suoi lavori, Xausa scrive spesso della necessità di conoscere tutte le sfumature e sfaccettature dei problemi collegati alla crisi climatica, distaccandosi dal cosiddetto “canone bianco e maschile” eincludendo, con un approccio decoloniale, opere che narrino i cambiamenti climatici con punti di vista e prospettive diverse.Il femminismo ha evidenziato come la subalternità delle donne, il colonialismo e la degradazione ambientale siano facce della stessa medaglia: gli uomini dominano le donne, i colonizzatori occidentali dominano i colonizzati, l’uomo domina le specie non umane.

Dagli studi ecofemministi emerge la volontà di sradicare questi dualismi fatti di prevaricazione, di smettere di considerare l’ambiente e il non-umano come oggetto di dominio da parte dell’uomo, ma anche di scomporre l’equazione donna = natura, permettendo a chiunque di riconoscersi in un approccio rispettoso dell’ambiente a prescindere dal proprio genere.

Gli atti del Convegno Nazionale Genere e R-esistenze in movimento. Soggettività, Azioni e Prospettive4, organizzato nel 2020 dal Centro Studi interdisciplinari di Genere (CSG) dell’Università di Trento, riportano l’intervento Cambiamento climatico, genere e intersezionalità: narrazioni r-esistentialla climate fiction apocalittica di XausaLa studiosa rileva che, “Oltre a presentare narrazioni antropocentriche, gran parte della cli-fi più mainstream tende a rappresentare il dominio maschile (e bianco) dello scienziato-eroe, e a riprodurre stereotipi etnici, razziali e di genere. Molti dei protagonisti con autorità decisionale sono scienziati o funzionari dei governi; bianchi, cis-gender, eterosessuali, non sempre benestanti, ma comunque uomini che in un modo o nell’altro riescono a salvare il pianeta dalla crisi climatica. Le donne sono spesso lo sfondo silenzioso dell’azione maschile, o sono rappresentate come estremamente (e naturalmente) vulnerabili al cambiamento climatico. Molta cli-fi esprime una preoccupazione per la sovrappopolazione mondiale – in modo particolare per quella causata dal Sud Globale –, che viene spesso risolta dall’autore tramite la soppressione di personaggi femminili ai quali viene attribuita ogni responsabilità”5.

Alla studiosa non sfuggono, però, interessanti elementi di diversità che permettono di rimodellare l’approccio alla crisi climatica, prospettive periferiche, contributi non bianchi e non maschili della narrazione letteraria del riscaldamento globale: “Per trovare racconti che affrontino l’impatto della crisi climatica sulla vita delle donne, ma anche sulle esistenze di altri gruppi oppressi e marginalizzati, basta allargare un po’ lo sguardo al di fuori del canone che si sta via via definendo, e guardare alle scritture postcoloniali, afrodiasporiche, africane e indigene; per dirla diversamente, scritture che molto spesso sono escluse dal canone della narrativa climatica. Shelley Streeby le definisce narrazioni visionarie (visionary fiction), poiché estendono lo sguardo oltre la crisi climatica in una connessione profonda con i movimenti sociali, e poiché usano l’immaginazione speculativa non per rafforzare narrazioni dominanti ma per decolonizzare l’immaginazione dell’Antropocene e per proporre un profondo cambiamento sociale”6. A tal proposito nel suo intervento al Convegno del 2020 prende in esame i romanzi Salvage the Bones7 di Jesmyn Ward, pubblicato da Bloomsbury nel 2011, e The Floating World8 di C. Morgan Babst, pubblicato da Algonquin nel 2017, in cui entrambe le autrici si soffermano sugli effetti dell’uragano Katrina sui cittadini e le cittadine più vulnerabili del Delta del Mississippi e di New Orleans, in particolare, donne e classe operaia afroamericana. Il romanzo Salvage the Bones dà voce ai corpi vulnerabili della nuova era geologica, costretti a restare a contatto con il problema, senza avere accesso alle soluzioni tecnologiche che permettono l’esodo delle élite.

Soluzioni che si riscontrano in molta climate fiction apocalittica, dove è frequente che una ristrettissima parte dell’umanità, composta da politici, miliardari, scienziati, finanzieri, venga imbarcata su lussuose scialuppe o altri veicoli di salvataggio per mettersi in salvo da catastrofi planetarie. The Floating World si sofferma sulle modalità con cui i disastri ambientali inaspriscono condizioni di vulnerabilità sociale già esistenti; come scrive l’autrice del romanzo, “l’uragano sembrava uscito da un film apocalittico, ma le conseguenze sono state un’altra cosa” – “the flood itself had been straight out of an apocalypse movie, but the aftermath was something else9.

Di questi due romanzi Xausa evidenzia come coesistenza di sfruttamento ambientale, oppressione razziale e sessismo facciano sì che il cambiamento climatico abbia effetti sproporzionati su alcune comunità, in modo particolare sulle donne di queste comunità: “L’uragano Katrina ha fornito le prime indicazioni su come i disastri ecologici rappresentino un problema non solo ambientale ma anche etico e politico, che deve essere affrontato attraverso la lente della giustizia climatica. L’impatto dell’uragano a New Orleans è stato particolarmente devastante nei quartieri operai a prevalenza afroamericana, dove la possibilità di evacuare la città è stata limitata. Dal momento che l’uragano Katrina rappresenta una tipologia di disastro ambientale che diventerà sempre più frequente con l’intensificarsi del cambiamento climatico, lo studio di romanzi che ne forniscono rappresentazione è di particolare rilievo anche per la climate fiction dedicata in maniera più diretta alla crisi climatica più contemporanea”10.

New Orleans, 2005 uragano Katrina, quartiere allagato. KEYSTONE/FR 170690AP/MATTHEW HINTON sda-ats

I conflitti sociali, derivanti dalla simultanea discriminazione di genere, razza e classe, sono in questi romanzi intensificati dai mutamenti delle condizioni ambientali, e non possono quindi essere rappresentati separatamente: “[…] a New Orleans furono le donne afroamericane l’80 per cento delle persone più colpite dall’arrivo dell’uragano Katrina. Molte di queste donne vivevano sotto la soglia della povertà ancora prima dell’arrivo di Katrina, e gran parte delle famiglie più povere della città era guidata da madri single: responsabili del lavoro di cura, e prive dei mezzi per poter evacuare, furono soprattutto loro a restare bloccate a New Orleans. Furono loro, inoltre, le vittime dell’acuirsi della violenza domestica e di altre forme di abuso di genere che seguirono la catastrofe”11. Lo scrittore anglo-indiano Amitav Ghosh, nel saggio del 2016 La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile (Vicenza, Beat, 2019), afferma che la crisi climatica “è anche una crisi della cultura e, quindi, dell’immaginazione”.

La grande cecità, scrive Ghosh, è la mancanza di una risposta culturale al cambiamento climatico: per raccontare questo tempo, la letteratura contemporanea ha bisogno di nuovi generi, nuove parole, nuove strategie discorsive.

La scrittrice aborigena australiana Alexis Wright, nel corso della Fryer Lecture in Australian Literature tenuta nel 2020, sostiene che le storie di cui abbiamo bisogno “richiedono idee radicalmente diverse e un pensiero più ampio rispetto alle preoccupazioni individuali e alle prospettive personali […] il riscaldamento globale sta espandendo la nostra immaginazione, sta già eclissando ogni normalità nelle nostre attuali preoccupazioni letterarie”12. A tal proposito Xausa suggerisce che una parte del linguaggio necessario per concettualizzare la crisi climatica è già a nostra disposizione: “intrecciando l’indagine scientifica sulla crisi climatica con le prospettive critiche offerte dai femminismi e con il linguaggio della letteratura è possibile trovare nuove parole che corrispondano alla portata delle incertezze radicali del futuro”13. La narrativa ambientale femminista e decoloniale non si limita alla rappresentazione delle ingiustizie che attraversano l’attuale era geologica: “il contributo forse più visionario di questi testi si trova nel loro tentativo di immaginare punti di rottura dal capitalismo fossile e dall’eccezionalismo umano: una visione utopica che questo genere di narrativa condivide con le ecologie femministe come l’ecofemminismo, le ecologie queer, il femminismo postumano e il nuovo materialismo femminista. Il genere post-apocalittico, in questo caso, non viene scelto per mettere in guardia lettori e lettrici, guardarsi indietro e rimpiangere il passato perduto: la narrativa climatica femminista e decoloniale propone una controapocalisse femminista e relazionale (Zylinska 201814), che, liberata dall’individualismo del singolo eroe, può immaginare forme inedite di convivenza e collaborazione fra esseri umani, animali non umani, e ambiente”15.

Note

1 Secondo la filosofa ecofemminista australiana Val Plumwood gli elementi oppositivi, cultura e natura, umano e non-umano non sono sullo stesso piano: il primo si trova in una posizione gerarchicamente superiore, ma ha bisogno dell’altro elemento per giustificare la sua superiorità. Nelle scienze umane ambientali questi dualismi sono visti alla radice di tutte le crisi ecologiche, dal momento che consentono e giustificano la sottomissione, l’oggettivizzazione e lo sfruttamento della natura e dell’altro/a non-umano/a.

2 Il concetto di “saperi situati” viene introdotto per la prima volta da Donna Haraway in Situated Knowledges: The Science Question in Feminism and the Privilege of Partial Perspective («Feminist Studies», Vol. 14, n. 3, Autumn 1988), tradotto in italiano con il titolo Saperi situati: la questione della scienza nel femminismo e il privilegio di una prospettiva parziale (in Ead., Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, capitolo secondo, Milano, Feltrinelli, 1995), in cui l’autrice afferma che la conoscenza è sempre parziale; la scienza propone prospettive elevate e una visione oggettiva, la poesia/letteratura insiste sul posizionamento, sui saperi parziali, sulla passione. Secondo Chiara Xausa, “la crisi attuale ha bisogno di entrambi i punti di vista, e, soprattutto, ha bisogno di una tecno-scienza che non sia svincolata dagli (eco)femminismi”.

3 Sito Associazione Alumni, Università degli Studi di Padova, Disparità di genere, colonialismo e degradazione ambientale sono facce della stessa medaglia, 25 luglio 2022, https://www.alumniunipd.it/blog/2022/07/25/disparita-di-genere-colonialismo-e-degradazione-ambientale-intervista-chiara-xausa/ [data di visualizzazione: 14 giugno 2023].

4 Micaela Coppola, Alessia Donà, Barbara Poggio, Alessia Tuselli, a cura di, Genere e R-esistenze in movimento. Soggettività, Azioni e Prospettive, Trento, Università degli Studi di Trento, novembre 2020. Con il contributo, per l’Università di Trento, di Centro di Alti Studi Umanistici – CeASUm (Dipartimento di Lettere e Filosofia), Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale Laboratorio Interdisciplinare per la Qualità e l’Innovazione della Didattica – LiQuID (Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive), pp. 99-106.

5 Ivi, p. 101.

6 Chiara Xausa, Immaginare e raccontare la crisi climatica con le ecologie femministe, in “Articolo 21”, 29 agosto 2022, https://www.articolo21.org/2022/08/immaginare-e-raccontare-la-crisi-climatica-con-le-ecologie-femministe/ [data di visualizzazione: 14 giugno 2023].

7 Il romanzo esplora la difficile situazione di una famiglia afroamericana della classe operaia nel Mississippi mentre si prepara all’uragano Katrina e la segue attraverso le conseguenze della tempesta.

8 In questo caso il romanzo si concentra sulle conseguenze dell’uragano su una famiglia multietnica di New Orleans, soffermandosi sulle modalità con cui i disastri ambientali inaspriscono condizioni di vulnerabilità sociale già esistenti.

9 Genere e R-esistenze in movimento…, cit., p. 106.

10 Ivi, p. 103.

11 Ibid,. p.103.

12 Oodgeroo Noonuccal, My people. La mia gente, con un testo di Alexis Wright, a cura di Margherita Zanoletti, Milano-Udine, Mimesis, 2021, https://www.susanpetrilli.com/files/anteprima-My-People-Oodgeroo-Mimesis.pdf [data di visualizzazione: 14 giugno 2023].

13 Chiara Xausa, Immaginare e raccontare la crisi climatica con le ecologie femministe, cit..

14 Johanna Zylinska, The End of Man. A Feminist Counterapocalypse, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2018, trad. it. La fine dell’uomo. Una controapocalisse femminista, curato e tradotto da Gabriela Galati, Roma, Rogas, 2021.

15 Chiara Xausa, Immaginare e raccontare la crisi climatica con le ecologie femministe, cit..

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