Un dialogo con Fulvia Bandoli
Conosco Fulvia Bandoli, ravennate, dalla nostra prima gioventù. Dopo gli studi di filosofia a Firenze, ha avviato il suo impegno politico nella nostra città, Ravenna. Numerose le sue esperienze, di dirigente politica, anche a livello regionale e nazionale, e di parlamentare, dal 1994 al 2008. Ha coniugato la passione per una sinistra da rinnovare, con ambientalismo e femminismo. Passioni che sono nate e cresciute anche in me, strada facendo. L’idea di una intervista a lei è nata dopo la condivisione dell’incontro “La Cura Maltrattata”. Anche la politica, quasi sempre maltrattata, ora è ferita in modo tragico dalla guerra in corso. Ecco i pensieri fra di noi scambiati.
Paola Patuelli
Prima domanda
Lo scorso 23 marzo ho partecipato a un incontro promosso dal Gruppo Femminista del Mercoledì, dedicato al tema “La Cura Maltrattata”.
Un incontro pensato prima dell’inizio della aggressione alla Ucraina e che ha visto la partecipazione di donne e uomini di diversa esperienza.
La introduzione è stata affidata a te.
Hai sottolineato come la guerra ci imponesse di allargare inevitabilmente il campo della riflessione.
Un tuo passo mi ha molto colpito, quando hai ricordato che nei primi giorni del conflitto hai pensato che inviare armi al popolo ucraino che resisteva fosse necessario.
Avevi in mente la storia dei tuoi genitori che, come i miei, sono stati coraggiosamente resistenti quando la storia ha imposto a loro di esserlo. Poi ha preso il sopravvento, in te, più che la memoria familiare la cultura non violenta che sempre più ha segnato la tua vita adulta.
Ci hai ricordato la tua personale esperienza con Nelson Mandela. Hai citato un passo poco noto di Anna Bravo “Il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato”.
Vuoi raccontarci di più di questo aspetto della tua vita, non meno importante del tuo femminismo e ambientalismo?
Ho avuto la fortuna di conoscere Nelson Mandela nelle mie varie esperienze in Sud Africa prima come osservatrice dell’Onu durante le prime elezioni libere e dopo, nei primi anni della sua Presidenza. Ritengo il suo un esempio chiarissimo di rapporto positivo e non “proprietario” con il potere. Quando Mandela diventò ‘presidente resta ad abitare nel suo quartiere, è tutt’uno con le sue origini e con il suo popolo, al quale deve la sua scarcerazione. Quando si insediò in parlamento prima di lui fece entrare gli sciamani ( ricordo gli esponenti politici di tutto il mondo presenti, meravigliati e attoniti ). Lo fece per scacciare gli spiriti maligni e rispettare le sue tradizioni. Governò’ i primi tre anni con De Klerk ( l’uomo che lo aveva tenuto in carcere) ma nell’annunciare il governo di neri e bianchi insieme ( necessario per non accentuare violenze e vendette) non trasfigura la realtà vissuta, anzi la richiama con una forza inusitata “governeremo insieme perché è necessario al paese ma tra me e lui c’è una differenza di fondo e che resta scritta nei libri di storia. Io sono stato in carcere per 30 anni e lui aveva le chiavi della porta della mia cella”. La sua proposta di Commissione per la conciliazione nazionale affronta gli abusi razziali e gli omicidi soprattutto dei bianchi verso i neri in decenni di Apartheid tollerato e sostenuto da tanti Paesi complici. Ma qualche violenza vi fu anche da parte di gruppi di neri. E quando emergono alcune responsabilità della moglie (che aveva fondato un gruppo armato al di fuori del movimento non-violento di liberazione dell’ANC) con dolore, ma con fermezza, ne firma la condanna politica. Se avesse usato il suo potere nel senso classico del termine avrebbe certamente trovato il modo di salvarla, si trattava pur sempre della moglie del Presidente. Ma se lo avesse fatto avrebbe perso ogni credibilità . Un capo di governo come pochi ve ne sono stati. Da Mandela ho tratto insegnamenti indelebili che hanno segnato tutta la mia formazione. E che mi stanno aiutando a capire anche questo tragico momento per l’Ucraina e per tutto il mondo. E a ricordarmi che ci sono tanti modi di resistere, e che non esiste solo la resistenza armata.
Seconda domanda
L’esempio di Mandela è stato ed è esempio grandissimo. Come la Commissione da lui voluta Riconciliazione nella verità. Senza la verità dei fatti, da ricostruire, la riconciliazione è impossibile. La stessa verità che i movimenti ambientalisti, di cui tu stessa fai parte, cercano di mettere in luce, a proposito di guerra alla terra che industrialismo e abnorme consumo di suolo hanno, con colpevole miopia, dichiarato in modo crescente, in particolare a partire dal secolo scorso. Altro che virus che ha dichirato guerra a noi! Anche di questo ci hai parlato il 23 marzo scorso. Puoi riprendere qui le tue considerazioni?
Infatti non ho mai pensato che in questi due anni fossimo in guerra contro un virus e che stessimo in trincea. Quel linguaggio, soprattutto alla luce della vera guerra di questi giorni, era davvero sbagliato. A mio parere si è trattato piuttosto di un ribellarsi della natura e del vivente non umano, alla nostra secolare incuria. Era già’ accaduto negli anni passati che concimi con aggiunta di farine transgeniche dessero luogo a mutazioni nella carne dei bovini (morbo della mucca pazza), obbligandoci a sospendere consumo di carne per mesi. Stavolta si è trattato di un fatto più’ grave, di un’enorme pandemia. Penso vi sia – come molti scienziati e scienziate ci hanno spiegato – una stretta relazione tra come alleviamo intensivamente gli animali ( e come li macelliamo, li trattiamo e li conserviamo) e il diffondersi di virus sempre sconosciuti e molto insidiosi per la salute umana. Cosi come c’è’ un nesso tra la mole di emissioni in atmosfera degli ultimi 40 anni e il cambio del clima che determina desertificazioni, siccità, carestie e condanna a morire per fame milioni di bambini e obbliga milioni di persone a migrare. Ma oggi dopo la guerra scatenata da Putin tutto quello che avevamo imparato durante la Pandemia e le priorità che avevamo individuato sono evaporate in 30 giorni: Governi, Parlamenti e Partiti, in Italia e in Europa, han deciso un poderoso riarmo, pur essendo già’ molto armati e pur vendendo armi ( noi e la Ue) a tutte le guerre in corso. E in secondo luogo stanno considerando di riaprire le centrali a carbone mettendo da parte l’urgenza di diminuire le emissioni.
Terza domanda
E’ quindi evidente che c’è un forte nesso fra cieca aggressione alla natura, totale trascuratezza per gli allarmi crescenti rivolti dalla cultura scientifica ai governi e ai poteri e la cultura della guerra, che rimuove il valore dei viventi, umani e non solo umani. Da tempo, in particolare il femminismo, ha elaborato un pensiero fortemente rivolto al tema cura. Cura del mondo, cura e riconoscimento di ogni diversità, cura della politica in ogni suo aspetto. E dire che l’I care, nella sua complessità, fu posto al centro del suo impegno educativo da Don Milani, già negli anni Sessanta. Un bussola che indicava una precisa strada. Bussola ora perduta? In mano esclusivamente ai movimenti ambientalisti e ai femminismi?
Si, un nesso esiste, e del resto basta guardare a come sono ridotte decine di paesi attraversati negli ultimi 50/60anni da guerre. La guerra si prende tutto, la vita delle persone, desertifica i raccolti e le città, azzera le relazioni umane e culturali. E non ricordo invasione armata, dopo la seconda guerra mondiale, che abbia risolto conflitti riguardanti confini, etnie o religioni.
I danni prodotti da una concezione predatoria e liberista del Pianeta e del territorio sono altrettanto gravi. I governi del mondo non hanno ascoltato la scienza e la ricerca che chiedevano di rispettare il limite delle risorse naturali, nè hanno prestato attenzione alle cifre enormi della crescente povertà’. Il prezzo che paghiamo per aver scelto di non fare pace con l’ambiente è altissimo già da molti decenni. Il mio gruppo femminista lavora da anni sul tema della Cura.
Molte e molti intendono questo termine solo come ” lavoro di cura” fatto dalle donne, altri in questi due anni l’hanno riferito solo ai vari aspetti sanitari e di sicurezza riferiti al Covid. Noi abbiamo parlato di “cura maltrattata” proprio perché’ molto la si nomina ma spesso a sproposito e soprattutto non la si intende come “cura del vivere” in ogni sua dimensione. Il senso che don Milani dava a questo termine era un “mi faccio carico, mi sta a cuore”, che io ho apprezzato moltissimo.
Ma nel concetto di cura che un pezzo di femminismo porta avanti c’è qualcosa di più. C’è anche il conflitto che va aperto e agito con i vari poteri e i vari governi per cambiare davvero lo stato di cose presenti: senza conflitti non cambieremo la realtà’ inaccettabile della violenza sulle donne, dello sfruttamento della natura, o del riarmo e della guerra, o del cambio climatico. Ed è vero che io oggi ripongo le mie non molte speranze nei movimenti femministi ed ecologisti sparsi per il mondo e anche in Italia. Da vari anni non riesco a metterle in capo a un partito politico o solo alla politica tradizionale, come pure ho fatto per tanti anni in passato. Purtroppo non vedo partiti che si prendano Cura del Vivere e del Mondo. E che si preoccupino davvero delle molte ingiustizie che ancora subiscono coloro che lo abitano.
Quarta domanda
Tocchi un punto veramente dolente. La crescita di consapevolezza sui tanti nessi che connettono natura, cultura, storia, che è stata in questi anni evidente nel mondo femminista, ambientalista e della scienza, sembra non avere toccato, se non molto marginalmente e con paradigmi immutati, la politica, che procede, arcaica, senza uscire da schematismi millenari. E’ ancora alla guerra che si ricorre per risolvere – si fa per dire risolvere – i conflitti. La viva e tragica recente memoria che madri e padri costituenti avevano della guerra consentì loro di scrivere che la guerra è da ripudiare. Quella generazione è trascorsa e la sua lezione dimenticata. Persone di animo democratico e sicuramente colte ritengono inevitabile ricorrere alla guerra. I partiti non escono da questo arcaismo. Che cosa è la politica? Si chiedeva Hannah Arendt? La politica è risolvere i conflitti senza violenza. Migliaia di anni passati invano? Sempre punto e a capo? Qualcosa di nuovo sta nascendo nella nuova generazione, ambientalista e femminista?
I partiti politici si guardano l’ombelico da anni e nulla hanno saputo fare per aprirsi a soggetti sociali nuovi e spesso precari: i riders, i braccianti agricoli, le badanti, e tanti lavoratori della sanità’, gli insegnanti, sono questi che hanno consentito la vita a milioni di persone durante i lockdown. E non sono solo precari ma anche super sfruttati, mal pagati e senza tutele di sicurezza minime. E spesso si organizzano da soli. E anche sul fronte del rinnovamento della cultura politica registriamo un girare a vuoto davvero imbarazzante dei partiti: da decenni l’ambientalismo scientifico (che non dice No a qualsiasi cosa come banalizzano certuni) composto da associazioni, ricercatori, movimenti territoriali, e dai ragazzi di Fridays for Future fa serie analisi e proposte sul cambiamento dei modelli di consumo e di sviluppo, sui temi energetici, sui trasporti, sul dissesto idrogeologico, sul ritorno a una agricoltura meno intensiva e più’ qualitativa. Tutte queste elaborazioni e proposte non sono mai entrate a far parte stabilmente della cultura politica dei partiti. Ogni tanto qualche riconoscimento (sempre dopo eventi tragici, un terremoto o un’alluvione o dopo una grande manifestazione dei ragazzi in tutto il mondo), ma l’indomani si torna alla mera gestione del potere nel chiuso dei palazzi. E lo stesso potrei dire rispetto alla elaborazione e alle proposte di decine di pensatrici e di gruppi femministi che esistono in tutta Italia e nel mondo (sono le femministe russe le più’ impegnate oggi contro la guerra, e poi gli scienziati e tanti giovani) e alle molte battaglie fatte dal movimento delle donne su molte questioni cruciali. I partiti oggi sono impermeabili, incapaci di confrontarsi, avvizziti su se stessi. Concordo con te e soprattutto con Hannah Arendt, la politica è risolvere i conflitti cercando di evitare la violenza. Trattare senza farsi male. E se qualcuno attacca unilateralmente e scatena una guerra di aggressione il mondo intero, l’Onu e i tutti i Governi e l’Europa, devono agire per farla cessare al più’ presto e per far ritirare le truppe di chi ha invaso. Non mi piace la piega che ha preso da un mese la discussione nel nostro paese. Regalare a Putin i pacifisti, i movimenti non violenti e coloro che condannano apertamente l’invasione dell’Ucraina ma chiedono che si apra una trattativa è un errore gigantesco. Queste persone non sono nè putinisti nè disertori.
E magari, come nel mio caso, condannano Putin almeno da 20 anni, fin dall’aggressione alla Georgia o alla Cecenia, fin dalla persecuzione di giornalisti e opposizioni. Quando tanti altri che adesso strepitano facevano accordi e affari con lui.
Sarebbe meglio abbassare i toni e alzare il livello del confronto.