Femminile Maschile Plurale News «È in noi che i paesaggi hanno paesaggio»

«È in noi che i paesaggi hanno paesaggio»

Difendere l’ambiente o difendere il paesaggio? Una ricognizione di riferimenti ideali – letterari, artistici, filosofici e giuridici – per capire di che cosa si tratta quando la ‘sostenibilità’ viene a contatto con i ‘significati’ dei luoghi e degli spazi

Pubblicato il 4 Maggio 2023

di MARINA MANNUCCI

Lo scrittore Fernando Pessoa ha scritto: «È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo»1.

Ripartire dalle parole… e da antiche carte

L’origine del termine paesaggio oscilla tra la cultura estetica di poeti e pittori e la cultura scientifica di naturalisti, botanici ed ecologi. La ricostruzione degli etimi evidenzia che il vocabolo nasce dalle lingue germaniche con landschaft, e anglosassoni con landscape – termini che indicavano l’atto di “guardare o vedere il mondo materiale” e anche l’esperienza dell’uomo sul territorio – e dalle lingue latine con payspagensis (paese, comunità), che indicava l’abitante di un villaggio eil villaggio stesso2. «In entrambe le origini il termine paesaggio racconta l’uomo e il suo territorio (o anche ambiente, spazio, luogo); nel primo caso, quello di origine germanica, con un’accezione molto materiale e visiva, legata all’idea di panorama, da cui il territorio come fatto estetico e matrice di una ormai consolidata idea di bellezza (paesaggistica); nel secondo caso, quello di origine latina, con una declinazione più immateriale, legata all’idea di comunità, come insieme di relazioni tra gli uomini e il loro ambiente, da cui l’origine dell’idea di bellezza come cultura immateriale, come sistema di valori condivisi e identitari, come memoria e simbolo dei luoghi»3.

Foto di Vivian Maier, 1953, New York.

La Carta della Foresta/Charter of Forest del 1217 emanata al tempo di Enrico III, ricordata anche come la “Carta dell’Uomo Comune”, oltre a essere il primo documento a concedere il libero accesso e il diritto di proprietà a tutte le persone libere, è il primo attestato in cui il paesaggio, inteso anche come fattore identitario di una comunità, viene inquadrato come bene comune, poiché indispensabile per la vita di ognuna/o nel breve come nel lungo periodo, dal momento che, in particolare nel suo elemento naturalistico, da esso è possibile trovare sostentamento per le attuali e le future generazioni. Il termine “foresta”, in questo caso, oltre a un territorio boscoso, fa riferimento ad aree di caccia, terreni incolti e aree in cui potevano essere localizzati villaggi e città.

Scrittori e filosofi

La lettera in latino scritta da Francesco Petrarca sulla scalata del Mont Ventoux (Monte Ventoso), in Provenza, realizzata insieme al fratello Gherardo nel 1336, e raccolta nelle Familiares IV, 1, viene spesso citata fra le prime attestazioni di questa particolare attenzione estetica per la natura intesa come paesaggio. I luoghi visitati e vissuti dal poeta oltre a essere immagini interiori, reinterpretate in forma letteraria, sono anche valori capaci di predisporre l’animo all’esercizio di vizi o di virtù4. La modernità della Lettera consiste nel fatto che l’autore compie una scalata, al tempo stesso vera e simbolica, del Mont Ventoux per pura curiositas, il cui fine, secondo Andrea Tagliaferri, cioè «l’atto di guardare il paesaggio da una vetta», «sembra alludere alla volontà dell’uomo moderno di guardare dall’alto, di andare oltre a tutto ciò che viene comunemente e pressoché universalmente accettato»5.

«Ma viene da chiedersi – prosegue l’autore – perché solo nell’età moderna si sviluppi l’idea di paesaggio. Questo tema è stato affrontato da Ritter e Simmel, i quali parlano, rispettivamente, di “lacerazione tra soggetto e natura” e “dissoluzione dei legami originari”. Le due espressioni, benché siano diverse fra loro, alludono al fatto che il soggetto si scopre come qualcosa di diverso dal resto del mondo, divenendo consapevole di sé, della propria unicità e della propria irripetibilità. Secondo Simmel tale consapevolezza mancava nell’antichità, e per questo essi non avevano il senso del paesaggio. Si ha così una rottura, una crisinel soggetto moderno che lo porta però ad uno sviluppo […] e che lo libera; il paesaggio nasce quindi come compensazione rispetto a una natura da cui siamo ormai estraniati. Tale crisi si ha quando la natura non viene più vista nella sua totalità, ma parcellizzata dalle scienze che la vogliono analizzare nei singoli aspetti. In questo contesto, il paesaggio permette all’uomo di rivedere la natura nella sua totalità, di apprezzarla per ciò che essa suscita, anziché come oggetto di studi scientifici. Si noti inoltre che il paesaggio è talvolta definito come un “fenomeno cittadino”, che nasce appunto quando l’uomo vive prevalentemente in città, distante dalla natura; ed è proprio grazie a questa distanza che l’uomo riesce a vedere la natura come paesaggio»6.

Della soggettività insita nel paesaggio Georg Simmel scrive nel saggio Filosofia del paesaggio7 sostenendo che nasca da un atto spirituale, la stimmung: «La tonalità spirituale è un momento essenziale, o forse il momento essenziale che traduce la frammentarietà degli elementi del paesaggio in un sentimento di unità»8. Il paesaggio nasce, quindi, quando l’uomo si rivolge alla natura senza alcuno scopo pratico, soltanto per fruirne esteticamente. Anche secondo Joachim Ritter, «Il paesaggio è la natura che si presenta esteticamente nello sguardo di chi la contempla con sensibilità e partecipazione: non sono, in quanto tali, “paesaggio” né i campi prima della città, né il fiume inteso come “confine”, come “via commerciale” o come “problema per chi costruisce ponti”, e neppure lo sono le montagne e le steppe dei pastori e delle carovane (o di coloro che sono alla ricerca di petrolio). Tutte queste cose diventano paesaggio solo quando l’uomo si rivolge loro senza uno scopo pratico, ma con un libero godimento contemplativo, al fine di trovarsi come uomo libero all’interno della natura»9.

Foto di Letizia Battaglia.

Secondo Michael Jakob, professore di Storia e teoria del paesaggio al Politecnico di Losanna, il paesaggio «è insieme visibile e invisibile, si rivela e si occulta. È fondamentalmente duale, e ciò non solo tenendo conto delle discordanti caratterizzazioni che discipline diverse e in concorrenza fra loro ne danno, è duale in sé»10. Il paesaggista francese Gilles Clement ha, inoltre, elaborato i concetti di Terzo Paesaggio, di Giardino in movimento e di Giardino planetario, quest’ultimo coincidente con l’intera biosfera. Rappresentazioni che, partendo dall’ecologia, attraversano l’architettura del paesaggio, l’economia, la vita civile e si traducono in un manifesto politico: «Sappiamo che il paesaggio è intimamente legato alla nostra lettura soggettiva e culturale, che l’ambiente è un elenco oggettivo delle componenti del vivente, che il giardino è territorio del sogno, raccolta del meglio e progetto politico»11.

Foto di Lisetta Carmi-Martini & Ronchetti, Santuario della Madonna del Rimedi, Orosei, 1964.

Paesaggio contro ambiente?

Il clima sta mutando le geografie dei nostri territori; di conseguenza, ne risulta modificata anche la nostra percezione del paesaggio e il nostro rapporto con esso. Azioni di mappatura sui territori hanno dimostrato come nel giro di pochi anni sono cambiati gli usi e le colture dell’intero pianeta, riscrivendone i confini; trasformazioni che inducono a un riposizionamento degli esseri umani rispetto al paesaggio. Se il paesaggio rappresenta il significato del territorio per come lo percepiamo in modo soggettivo per le sue caratteristiche significanti, l’ambiente è il mondo fisico che descriviamo in modo oggettivo: entrambi sono proprietà collettive/beni comuni.

Salvatore Settis descrive il paesaggio italiano come soggetto portatore di valori civili e garante della vita associata e, in merito alla riforma costituzionale del febbraio 2022 che ha introdotto un nuovo comma all’articolo 912, scrive che la Costituzione vigente già tutelava pienamente l’ambiente, anzi: «la Corte ha disegnato una nozione costituzionale di ambiente più avanzata di quella della riforma oggi in discussione. Le sentenze ne coprono ogni aspetto e vanno oltre, verso la comunità di vita (animale e vegetale) di cui l’uomo è parte. Perché, dunque, tanto accordo in Parlamento su una riforma superflua, che rischia di diluire il dettato dell’articolo 9 anziché di completarlo? […] Nel migliore dei casi, la riforma in itinere è un placebo, nel peggiore una foglia di fico per coprire l’inerzia dei governi, attenuando la tutela del paesaggio […]. Non sarebbe più coraggioso e più rispettoso delle generazioni future costruire e lanciare al più presto un lungimirante piano operativo che tenga in conto ogni aspetto del problema?»13. Anche il giurista Paolo Carpentieri, riguardo a elaborazioni filosofiche, culturali e politiche che coinvolgono la salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente, così scrive: «Si ha, in conclusione, la sensazione che la “transizione ecologica” finirà come al solito per risolversi in un grande greenwashing del vecchio refrain della “Crescita&Sviluppo”, con sacrificio ulteriore dei paesaggi del già “Bel Paese”. La questione di fondo, come al solito, è culturale: forse la transizione ecologica “vera” non è quella della così detta green economy, che è totalmente organica e interna alle vecchie logiche del profitto e della crescita del PIL, ma è prima di tutto quella, mentale e culturale, basata su un nuovo modo di pensare e di guardare al mondo, su un nuovo stile di vita, sul recupero del senso del limite e su un profondo ripensamento della scala dei valori, con l’abbandono del consumo fine a se stesso e del falso slogan contradditorio dello “sviluppo sostenibile”, nella ricerca di un equilibrio stabile e duraturo»14.

Tornando alle modifiche del predetto articolo, diversa è la posizione di Giancarlo Montedoro: «Lo scopo della norma costituzionale è ben chiaro e del tutto condivisibile: avere acqua aria suolo più puliti, contrastare il cambiamento climatico con strumenti tecnologici adeguati di riconversione del capitalismo, introdurre un ciclo virtuoso del riciclo dei rifiuti chiamato economia circolare. […] speriamo che le future magnifiche sorti e progressive del legislatore della revisione costituzionale non si arenino tristemente nell’esplosione dei conflitti giudiziari (mentre già si profilano conflitti bellici). In attesa della sfera pubblica sovranazionale ambientale prossima ventura (quella che Ferrajoli chiama Costituzione della Terra) ci tocca gestire saggiamente a livello nazionale la transizione ecologica, se lo faremo, avremo prefigurato il futuro»15. In ogni caso, spetterà alla giurisprudenza – dei Tar e del Consiglio di Stato – conciliare i valori paesaggistici e quelli ambientali, dopo le previste valutazioni ambientali dell’Amministrazione su impianti di produzione energetica a tecnologia eolica o fotovoltaica16.

È bene tener presente che la tecnica di bilanciamento dei valori, operata progetto per progetto, potrebbe favorire le cosiddette attività industriali green e produrre speculazioni sul territorio, in nome dell’ambiente, dovute a una diminuzione di tutela paesaggistica. Il dibattito dell’impatto sul paesaggio degli impianti per la produzione di energia rinnovabile si pone come tema critico in termini di occupazione del territorio, una complessità che richiede l’integrazione di saperi e approcci in una nuova sintesi, tenendo conto che il fine della tutela è la conoscenza e che, per conoscere, è necessario un rinnovamento continuo della ricerca. Lo storico dell’arte Tomaso Montanari, riguardo al mettere l’ambiente contro il paesaggio, scrive che «dobbiamo stare in guardia rispetto agli enormi grumi di interesse (non di rado di stampo mafioso, come nel caso dell’eolico) che si stanno riciclando nell’ambiguo concetto di “sviluppo sostenibile” (un ossimoro),continuando a sigillare suolo col cemento o col metallo. Se davvero si volessero tenere insieme ambiente e paesaggio la strada c’è: da anni ogni Regione dovrebbe approvare un Piano paesaggistico, e proprio quella è la sede in cui decidere dove mettere questi impianti, senza lasciare l’iniziativa alla speculazione privata. Invece di cambiare le regole, bisognerebbe far funzionare quelle che ci sono: il MIC ha tutti gli strumenti per indurre le Regioni inadempienti (quasi tutte) a redigere i piani, ma non l’ha fatto»17.

Foto di Guido Guidi.

Dal lato delle donne

Il terzo, dei dieci punti del Decalogo Ecofemminista per un Buon Governo, redatto dal gruppo di femministe Ecofemminismo e sostenibilità, analizza le azioni necessarie per contrastare le catastrofi climatiche e il modello di sviluppo patriarcale e per affermare nuove regole di convivenza e di uso delle risorse e, oltre a ribadire l’importanza di porre fine ai sussidi al settore petrolifero e ai combustibili fossili, l’eliminazione delle plastiche, lo stop alla cementificazione e all’industria delle armi, riconosce l’importanza della salvaguardia della bellezza e della ricchezza del paesaggio naturale e della biodiversità, del patrimonio storico, artistico, culturale che non solo crea lavoro – soprattutto per donne e giovani (donne e uomini) –, ma qualifica il nostro territorio e la sua capacità di accoglienza, lo rende complessivamente più protetto, più bello, più accessibile e fruibile.

Il tema del paesaggio viene affrontato anche nel libro L’ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria, a cura di Franca Marcomin e Laura Cima, pubblicato per i tipi del Poligrafo nel 2017, in cui vengono raccolte testimonianze che evidenziano l’impegno politico e civile delle donne da angolature diverse, dall’agricoltura alla tutela, appunto, del paesaggio, dal pacifismo all’impegno a favore delle rinnovabili, raccogliendo l’eredita del passato e lanciando un ponte sulle sfide dell’ambientalismo nel presente.

Vandana Shiva, fisica ed economista indiana, esperta di ecologia sociale, nel suo intervento ai Dialoghi sull’uomo di Pistoia nel 2019, ha così esordito: «Sono cresciuta in un piccolo villaggio a nord dell’India, nella regione himalayana, da bambina facevo passeggiate tra i boschi e i ruscelli di quelle zone di montagna, allora incontaminate, ed ero convinta che quelle foreste e quei torrenti sarebbero rimasti uguali per sempre. Ma un giorno, prima di partire per il Canada dove avrei continuato i miei studi, sono tornata in quei luoghi d’infanzia e ho visto che molto era cambiato in peggio: il paesaggio era mutato, gli alberi tagliati, le risorse depredate. Da quel giorno ho capito che la mia vita si sarebbe dedicata alla tutela dell’ambiente e alla difesa di un pianeta che ho compreso essere un organismo unitario, dove tutto è legato e interconnesso. I miei studi di fisica quantistica mi hanno aiutata a sviluppare questa convinzione di un mondo che non è un semplice apparecchio meccanico, fatto da terra morta e inerte, la cui sorte è quella di essere sfruttato dall’uomo in maniera indiscriminata. La difesa di una foresta può sembrare un’azione limitata o fine a se stessa, ma in realtà è un atto che rientra nella più ampia e generale difesa dell’ecosistema planetario in cui viviamo. […] Dobbiamo sempre riappropriarci dei beni comuni; dobbiamo partecipare a una nuova economia che si basi sulla cura della nostra Terra; dobbiamo avere il coraggio di alzare la nostra voce contro le politiche che distruggono il pianeta e creano miseria. […] il nostro impegno dovrebbe essere quello di costruire un’economia sostenibile che rispetti i limiti e i confini della nostra Terra, di cui l’uomo non deve essere il padrone, ma un amministratore oculato. Dobbiamo rispettare il principio di diversità, restituire ciò che ci viene dato, dare vita a un’economia circolare, e fare della propria città piccola o grande il luogo fa cui parte il cambiamento».

Foto Associazione COVA Contro, Idrocarburi nel Pertusillo anche
sulle sponde di Spinoso: contaminato anche il campione ù
del 2 gennaio 2023.

L’evoluzione storica del concetto giuridico di paesaggio in Italia

In Italia la disciplina giuridica del paesaggio è strettamente connessa all’evoluzione concettuale del termine, a partire dalla legge n. 778 del 1922 “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”18 e successiva legge n. 1497 “Protezione delle bellezze naturali” del 1939 in cui la fruizione del bello assurge a interesse pubblico e dev’essere accessibile a tutti. Successivamente, nel 1948, l’articolo 9 della Costituzione19 individua un criterio d’identificazione dei beni meritevoli di tutela, ma è solo con il decreto legge n. 312 del 1985 “Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale”, convertito con modificazioni lo stesso anno nella legge n. 431, che la visione del paesaggio non è più «concepita in termini statici, di assoluta immodificabilità dei valori paesaggistici registrati in un momento dato, ma deve, invece, attuarsi dinamicamente e cioè tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socio-economico del paese per quanto la soddisfazione di esse può incidere sul territorio e sull’ambiente»20.

Seguono nel 1999 il decreto legislativo n. 490 contenente il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352” e il decreto legge n. 42 del 2004 “Codice dei Beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002 n. 137”21, il cosiddetto Codice Urbani, anch’esso diretta attuazione dell’articolo 9 della Costituzione. Il decreto legislativo n. 70 del 2011, il cosiddetto Decreto sviluppo, contiene modifiche al procedimento di autorizzazione paesaggistica (art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e sposta le competenze sul tema, delegando al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, invece che al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, la specifica autorità sul tema.

Nel luglio del 2000, i ministri del Consiglio d’Europa firmano a Firenze la Convenzione Europea del Paesaggio istituendo un nuovo strumento dedicato esclusivamente alla tutela, alla gestione e alla pianificazione di tutti i paesaggi europei. L’Italia ratifica la Convenzione nel 2006 con la legge n. 14. Altre iniziative volte alla conservazione del paesaggio a livello internazionale sono la Convenzione per la tutela del patrimonio mondiale culturale e naturale adottata dall’Unesco nel 1972 e la Pan-European Ecological Network (PEEN), una rete ecologica europea istituita nel 1995.

Nel 2020 la Commissione europea adotta una proposta di strategia dell’Unione europea sulla biodiversità per il 2030 per proteggere e ripristinare l’ambiente naturale e gli ecosistemi nell’Unione europea.ù

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