Femminile Maschile Plurale Articoli di femministe Eppure un Dio ci vuole – Credere senza religione

Eppure un Dio ci vuole – Credere senza religione

Lea Melandri e “Dio”.

L’articolo scritto da Lea Melandri, che riportiamo qui sotto, è un commento del libro di Stefano Levi Della Torre, “Dio” (Bollati Boringhieri 2020), uscito su “Il riformista” del 1-7-2021.

L’ho trovato interessante e ho anche ascoltato un’intervista dell’autore, sicuramente comprerò il libro. Ci tengo a dire che mi ritrovo molto in ciò che Lea esprime nell’articolo, anche emotivamente.

A parte una curiosa affinità di ricordi infantili, l’interesse scaturisce dai temi che, per quel poco che conosco, sono stati raramente affrontati dal femminismo italiano. Riflessioni sulle religioni in chiave femminista sono state svolte, ma quasi sempre come approfondimento teologico e di reinterpretazione dei testi sacri.

Già il titolo dell’articolo è indicativo: “Eppure un Dio ci vuole – Credere senza religione”. Lea, e il libro di Stefano Levi, parlano del desiderio, se non della necessità, di credere per procedere “sulla via del sapere”, come spirito essenziale per la vita.

Il problema non è tanto credere o non credere in Dio, ma avere la possibilità di rivolgersi a qualcuno/a o qualcosa ogni qualvolta la nostra vita ci abbraccia in momenti di felicità o ci opprime col dolore. Sin da piccolo e ancora oggi sono attratto da luoghi solitari e silenziosi, in particolare da chiese vuote o abbazie, dove abbandonarmi a liberi pensieri sui perché della vita, sulle domande di senso, come le chiama Lea, e sorprendermi felice di non aver individuato alcuna risposta, ma di essermi confrontato, e confortato, con l’idea di un Dio, al di là dalla fede religiosa, che non ho.

Mi ritrovo molto nel definirmi, come Lea, “un credente senza religione” che, se non garantisce soluzioni per i mali del mondo, può soddisfare quel bisogno umano di seguire un pensiero, un’idea (Lea usa il termine “autorità”, unico punto che non condivido) che “sia garanzia di vita e risposta ai nostri interrogativi e smarrimenti.”

Molta attenzione merita la riflessione sul rischio che stiamo correndo in questa fase storica, in cui si allarga sempre più “quel vuoto di senso” sia religioso sia politico, che potrebbe favorire nuove o tradizionali forme di religione e di fede (sacralizzazione della scienza, culti collettivi della nazione e della razza, ecc.). Lea, infine, si chiede se sapremo trovare altre strade di salvezza, non determinate dai nostri desideri e dalle nostre paure.

Una domanda, insieme con le tante altre, che meriterebbe una comune riflessione, senza pregiudizi e senza il timore di sconfinare dal politicamente corretto, come ancora una volta ci ha ben testimoniato la nostra amica Lea.

Ivan Morini

Eppure un Dio ci vuole

di Lea Melandri – 1 luglio 2021

La mia lettura del libro di Stefano Levi Della Torre, “Dio”, Bollati Boringhieri 2020

“Dio è una domanda travestita da risposta”, scrive Stefano Levi Della Torre nel suo ultimo libro – “Dio”, Bollati Boringhieri 2020. Chi non ha mai invocato Dio nei momenti in cui ha temuto per la propria vita -”Dio aiutami!” -, o quando si è trovato di fronte a una felicità inaspettata – “Dio ti ringrazio!”?

In un saggio precedente, uscito da Einaudi nel 2012, che ho avuto il piacere di presentare al Festival della Letterature di Mantova -”Laicità, grazie a Dio” -, era già chiara la motivazione profonda che può portare, anziché a respingere in modo pregiudiziale la religione, come fa gran parte della laicità, a vederne la portata simbolica e antropologica, la ricchezza dei bisogni umani che si porta dentro. Ma spostare l’attenzione sulla “fede”, su quel “desiderio di credere” che ostacola da sempre la scienza dal tentativo di affrancarsi dalla soggettività, è un passaggio ulteriore verso una conoscenza dell’umano che non teme di scoprire limiti, contraddizioni, ambiguità. E’ questo il pregio e la radicalità della riflessione con cui Stefano Levi si addentra in un terreno che, pur essendo collettivo e sociale, e occupando gran parte della storia, è rimasto nell’ombra di un “privato” coperto dal pudore, dalla vergogna o dall’indicibilità. Parlare di Dio vuol dire affrontare “vuoti di sapere” – “l’esistenza dell’universo è una constatazione”, ma resta la domanda del “perché dell’universo”, del “come mai il mondo è proprio quello che è invece di essere in altro modo” -, ma anche pulsioni profonde, legate alle esperienze dei primi anni di vita, che parlano la lingua del “desiderio” e della “paura”.

“Il credere è una necessità primaria e una premessa e un orizzonte. Se nella prima infanzia non credessimo nelle parole che ci insegnano, e se non credessimo che sono vere e che corrispondono a cose e fatti, non impareremmo neppure a parlare. Il credere è il primo passo sulla via del sapere (…) L’affinità con i moventi infantili del credere si rispecchia nell’idea e nel sentimento di essere figli -”figli di Dio”, inteso come padre (…) In questa visione della fede , l’amore religioso è amore minorile, amore filiale: amore per chi protegge e salva, per chi dunque è buono, è il bene.”

Nei vent’anni che ho trascorso nella mia famiglia contadina, unica ad avere il privilegio dello studio, benché femmina, costretta per mancanza di spazi a dormire in camera con i miei genitori, spettatrice muta delle loro notti, in cui era difficile per una bambina distinguere tra sessualità e violenza, che cosa poteva placare la mia solitudine, le mie angosce, quel senso inspiegabile di colpevolezza a cui non sai dare un nome, se non immaginare un interlocutore lontano da quella miseria, lo sguardo di un Dio capace di consolazione e di assoluzione, un genitore o una potenza misericordiosa da cui ricevere amore e forza per affrontare la sofferenza?

Il Dio che “conosciamo” è idea e immaginazione – scrive Stefano Levi -, “una finzione che ha una funzione, un placebo efficace, un’ idea che ha influito concretamente nella storia (…) è lo sguardo che ci costituisce, un testimone della nostra esistenza e di ogni esistenza.” A quel “Dio della mia infanzia”, visto che tale è rimasto per me, non ho mai smesso, ogni qualvolta la mia vita si è inceppata o, al contrario, è stata colta da momenti sorprendenti di felicità, di rivolgermi con la “fede” di una credente senza religione, forse solo col bisogno, che è di tutti gli umani di “aggirare l’inesistenza e la morte”, o, come all’inizio della vita e nell’innamoramento, di trovare nello sguardo dell’amato o dell’amata la certezza “di essere voluti nel mondo”. Sotto questo aspetto, il credere religioso, la fede, sembrano dunque legati alla nostalgia infantile di una autorità che sia garanzia di vita e risposta ai nostri interrogativi e smarrimenti. Ma l’analisi di Stefano Levi va oltre e si chiede se l’idea di attribuire l’origine dell’universo a un progetto divino non si collochi su quel crinale che sta tra natura e storia, là dove compaiono “potenze indistinte”, “soverchianti e inspiegate”, il territorio del sacro che la religione tenta di addomesticare e che le scienze, a loro volta, finiscono per inglobare.

“…è il tempo della sacralizzazione della scienza quasi a sostituire la religione, il tempo della presunzione scientista dell’illimitata conoscibilità del mondo e della sua riducibilità a strumento, il tempo dei fondamentalismi ideologici e dei messianismi politici, di nuovi culti collettivi della nazione e della razza, delle nuove idee di salvezza e provvidenza storica.”. Nel “Disagio della civiltà”, all’inizio del secolo scorso, già Freud metteva in luce i rischi riguardo ai mostri che poteva generare il delirio di onnipotenza della ragione: “…queste cose che l’uomo, mediante la scienza e la tecnica, ha prodotto (…) Oggi è diventato lui stesso quasi un dio, una specie di dio-protesi, veramente magnifico quando è equipaggiato di tutti i suoi organi accessori: ma essi non formano un tutt’uno con lui e ogni tanto gli danno del filo da torcere”. Per quanto la presunzione dell’uomo – ma dovremmo dire della comunità storica maschile che ha riservato a sé il governo del mondo, quel “maschio adulto, possidente” a cui si rivolgono i Dieci Comandamenti , sia stata più volte piegata dall’evoluzione del suo stesso sapere, abbia conosciuto lo scacco portato dalla rivoluzione copernicana, dal darwinismo e dalla psicanalisi, alla sua centralità nell’universo e al suo dominio sulla natura, “il nostro sistema simbolico – scrive Stefano Levi – resta tolemaico.”

Ciò nonostante non sembra venuta meno quella domanda di senso -del perché il mondo sia fatto così come ci appare -, che va inspiegabilmente, paradossalmente, a collocarsi in quel vuoto di senso, in quella oscurità che è il Dio della nostra immaginazione. L’insicurezza, che oggi mina un sistema costretto a far fronte ai cambiamenti climatici, alle ondate migratorie e alle pandemie, potrebbe rafforzare “l’inquietudine del sacro”, e quindi “forme di religione e di fede, nuove o tradizionali, a suo rimedio”. Sapremo trovare altre strade che non siano la speranza e l’attesa di essere salvati da una creazione dei nostri desideri e delle nostre paure?

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.