In attesa del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Come cancellarla dalla storia?
di Maria Paola Patuelli
Pubblicato il 13 novembre 2011 su https://www.ravennanotizie.it/
Ci fu un tempo in cui le leggi erano l’approdo di una crescita culturale e civile del
mondo che le esprimeva. O, come nel caso della nostra Costituzione, fu l’arrivo in
Italia, dopo la catastrofe bellica, di culture politiche e di storie che altrove, in Europa,
e negli Usa, avevano già avuto cittadinanza. Dittature feroci avevano cercato di
cancellarle. Furono sconfitte. La nostra Costituzione è la risposta antifascista al
fascismo. E, fra le storie arrivate dopo la guerra in Italia, ci furono le idee di
movimenti femminili e femministi – il machismo fascista li detestava – che avevano
già messo radici giuridiche, altrove. Idee che avevano segnato anche la storia della
Resistenza, in Italia, con i Gruppi di difesa della donna e la diretta partecipazione
delle donne alla Resistenza. Non per avere cura dei loro uomini, ma per la loro futura
libertà. Il voto alle donne, prima ritenuto impossibile, nel 1945 divenne realtà, e
diventarono cittadine, come racconta Anna Rossi Doria in un suo bellissimo libro
Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia (Giunti 1998). Un libro che forse
Paola Cortellesi ha letto, nel preparare il suo film C’è ancora domani, un film da
vedere. Un film che racconta la ferocia di patriarchi e di donne schiavizzate, fattrici –
così ci chiamavano i fascisti, pensando di indorarci -, nate per questo, non per essere
cittadine. Quindi, prima, cittadine non eravamo. Eravamo – soprattutto – madri. Ma,
imprevisto della storia, ventuno donne furono elette nel 1946 alla Assemblea
Costituente. Un piccolo numero che fece un grandissimo lavoro, segnando con le
proprie idee articoli di fondamentale importanza, come l’art.3, l’articolo
dell’uguaglianza di tutte le differenze, il più importante della Costituzione, disse
Piero Calamandrei. C’era da costruire – disse la più giovane fra le e i
Costituenti, Teresa Mattei, stuprata da un tedesco durante la sua Resistenza –
una democrazia fatta di donne e di uomini. Una rivoluzione. Certo, il lavoro delle
donne Costituenti non fu una tranquilla passeggiata. Spesso fecero fatica a farsi
capire dai Costituenti maschi. Ma anche fra di loro ci furono difficoltà da superare.
Fra le socialiste, le comuniste e le democristiane ci furono mediazioni non facili da
trovare. Per le prime, laiche, c’era la piena cittadinanza da costruire. Per le seconde,
famiglia e maternità erano al centro della vita delle donne. L’art.37 è prova di questa
non facile sintesi. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti a parità di lavoro dei
lavoratori, ma va protetta la sua essenziale funzione famigliare. Solo per la donna è
una funzione essenziale, non per il lavoratore maschio. Essenziale, concetto da cui le
donne è bene stiano alla larga. Contiene, per noi, trappole. Ma, in altri casi, l’unità fra
le donne Costituenti e la forza di buone mediazioni funzionò. Il divorzio non fu
inserito in Costituzione, come la Democrazia Cristiana voleva. L’esclusione delle
donne dalla Magistratura, che alcuni Costituenti maschi volevano – sono troppo
sentimentali, dicevano -, non fu inserita in Costituzione. Furono scelte che favorirono
poi, a seguito di un continuo impegno dei movimenti delle donne e, dagli anni
Settanta, anche del grande imprevisto movimento politico che fu il femminismo, una
fioritura legislativa rivoluzionaria, per la storia italiana. La legge che prevede il
divorzio, l’aborto e, nei successivi decenni, leggi che avvicinano a una
democrazia “di donne e uomini”. Esempi. Fu una forte richiesta del movimento
delle donne che portò, nel 2003, alla seguente modifica costituzionale dell’art.51:
“Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle
cariche elettive in condizioni di eguaglianza”, senza la quale non sarebbero state
possibili né la legge n. 120 del 2011, che introduce le cosiddette quote rosa, nei
consigli di amministrazione di società private e pubbliche, né la legge n. 215 del
2012, che prevede la doppia preferenza per le elezioni comunali e Giunte paritarie.
Quote rosa considerate da molti movimenti femminili e femministi non entusiasmanti
e lontane dalla concreta realtà delle condizioni di vita delle donne. Altra grande
questione su cui le forze politiche dovrebbero interrogarsi a fondo.
Ma la novità più grande in ambito civile e culturale fu il forte e continuo impegno, da
più parti, nel mondo e in Italia, in particolare a partire dagli anni Ottanta, per
contrastare il millenario fenomeno della violenza sulle donne. Per contrastarlo, era
necessario comprenderlo, andando alla radice del fenomeno, con spiegazioni
profonde, che hanno prodotto anche un neologismo di espressività radicale,
femminicidio. Non un omicidio come altri, ma una uccisione perché sei donna. Che
tipo di donna? Questo è il punto, sul quale tornerò.
Dalla realtà arcaica e terribile, alla cultura, alle leggi. Ai Centri antiviolenza, presidi
di forza e solidarietà femminile. Un grande movimento di crescita e conoscenza ha
attraversato – e continua con forza – il mondo delle donne, ma la violenza sulle donne
e i femminicidi continuano, non ci sono inversioni di tendenza. Inoltre, nelle
condizioni materiali della vita delle donne, negli ultimi anni – covid, guerre, disparità
salariali incostituzionali – vi sono vistosi arretramenti. Un esempio di drammatico
arretramento. La Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata in Italia nel 2013,
prevede che il contrasto e la prevenzione della violenza sulle donne riguardi anche la
violenza domestica. E’ uscita dalla convenzione, nel 2021, la stessa Turchia.
Motivazione? Le leggi non debbono intromettersi nella vita delle famiglie. Le leggi in
casa non debbono entrare. In casa vige la legge del marito padre padrone.
In Italia, dove è ancora viva e rispettata la Convenzione di Istanbul, violenze e
femminicidi continuano. Nelle millenarie forme arcaiche dello stupro, anche di
branco. Ma forme di violenza un tempo meno visibili, ora vengono più spesso allo
scoperto. I due terzi delle violenze e dei femminicidi avvengono in famiglia o
all’interno di relazioni parentali o affettive. Forme che potrebbero stupire ma che
hanno la loro ragione nel dato sociale e culturale che contraddistingue, a partire dalla
imprevista rivoluzione femminista, il presente.
La causa è la libertà che in modo crescente e consapevole le donne stanno dando
a se stesse. Fu soprattutto la forza delle donne a volere e a praticare il divorzio e,
ancor più, a chiedere una legge che consentisse di interrompere maternità
indesiderate. Tenere nelle proprie mani la propria vita. Una libertà che sovverte un
immaginario e un simbolico che ha radici millenarie. Una buona parte di una parte
di umanità, la parte femminile, vuole questa libertà. E l’altra parte, quella maschile?
I femminicidi intra moenia ci dicono che una parte del mondo maschile resiste,
non vuole, non accetta la libertà delle donne. E’ un dato arcaico ancora vivo nel
presente. E’ una reazione al grande imprevisto della storia, la libertà che le donne
vogliono per sé non solo nella sfera pubblica, ma anche, e soprattutto, nella loro
personale vita, nel loro quotidiano, dove scorre il tempo della loro vita, che non è
solo tempo produttivo o riproduttivo. Il desiderare, il giocare, il viaggiare, il
diversamente amare, dove lo mettiamo? Con la rivoluzione femminista, respirata
anche da donne non femministe, il desiderare la propria libertà, e il ricercarla, è
diventata anche cosa di donne.
La rivoluzione femminista ha dato vita anche a un’altra novità storica, per ora solo
agli inizi. Se le donne sono ormai un mondo plurale, che articola in vario modo la
vita delle donne non più solo o esclusivamente sotto il segno del materno, anche il
mondo degli uomini non è più un monolite. Non solo nel loro mondo compaiono stili
di vita plurali, privi di ossessioni identitarie, con vissuti diversi da quelli standard dei
loro padri, severi e impositivi. Emerge un fenomeno inedito. Uomini che desiderano
essere padri, che desiderano condividere sfera domestica e genitorialità e che
disprezzano gli uomini violenti. Non è poco. Ma, come ci ha raccontato in occasione
di un recente incontro Stefano Ciccone, coordinatore di una associazione nazionale
Maschile Plurale, con la quale l’associazione Femminile Maschile Plurale di
Ravenna collabora fin dalla sua fondazione, nel 2008, vi sono uomini che stanno
lavorando su se stessi, per cercare di andare a fondo nel ricercare le radici violente
del patriarcato, che hanno respirato fin da bambini. Un lavoro difficile di
decostruzione del maschile, del nesso fra possesso, dominio, controllo dei corpi,
insopportabili quando si fanno pensiero, parola e libertà. Grande novità, questa, di
uomini che cercano di ribaltare la storia da cui provengono, scoprendo che, il farlo,
rende non solo la vita delle donne migliore, ma anche la propria. Altro che ostalgia
per la legge del padre che è in crisi. La legge del padre deve finire. Autorità e
responsabilità sono altro dal controllo e dal dominio.
In conclusione. La Costituzione è necessaria, ma non basta. La scuola non può fare
tutto. Fra l’altro, quale scuola? Quella che ogni regime vuole sia propria portavoce?
In Italia ancora non siamo a questo punto, ma scricchiolii si avvertono. Gli uomini di
Maschile Plurale riconoscono il loro debito nei confronti della cultura femminista.
Non è un caso che Ciccone abbia una storica collaborazione con Lea Melandri, con
la quale anche Femminile Maschile Plurale lavora, da venti anni, ormai. Anzi, Lea
Melandri e Stefano Ciccone sono socia e socio fondatore di FMP, come chi scrive.
Fra le tante opere di Lea Melandri, segnalo, per stare in tema, AMORE e
VIOLENZA. Il fattore molesto della civiltà (Bollati Boringhieri 2011). E, fra i libri di
Stefano Ciccone, un libro imperdibile, per gli uomini. Maschi in crisi? Oltre la
frustrazione e il rancore (Rosenberg&Sellier 2019). Libro importate anche per noi,
donne. Vi troviamo confermata una speranza. I maschi non sono naturalmente ed
essenzialmente né violenti né machi.
Il mondo intero – autoritarismi crescenti, guerre, tentativi legislativi di cancellare
diritti, anche alle donne – sembra andare in direzione contraria a un miglior vivere,
per donne e per uomini.
Che fare? Continuare il lavoro culturale che molte associazioni conducono, in modo
autonomo e indipendente, che – non sempre con la velocità che vorremmo –
producono spostamenti. Chi avrebbe detto, anche solo cinquanta anni fa, che ci
sarebbero stati uomini che lavorano su se stessi, scrivono, pubblicano, collaborano
con femministe, per decostruire la legge del padre? Nessuno lo avrebbe detto, ma
oggi così è.
Ma perché il cammino proceda, non si arresti, o torni indietro, c’è molto lavoro da
fare.
Maria Paola Patuelli