Reato universale?
Sono urgenti plurali e laiche riflessioni
Maria Paola Patuelli
17 luglio 2023
L’articolo di Lea Melandri pubblicato su il Manifesto il 7 luglio, mi sollecita a una pubblica riflessione, divenuta urgente, fra me e me, dopo avere ascoltato Alessandra Bocchetti a Ravenna, e ripresa, poi, dopo il recente articolo di Luana Zanella, sempre su il Manifesto dell’11 luglio. Non nascondo che mi ritrovo spesso, nel seguire il confronto, anche fra femministe, sulla questione gravidanza per altri, in una certa difficoltà, per non dire in imbarazzo. Un imbarazzo che nasce nel trovare posizioni così nette, per non dire perentorie, o arrabbiate, su un tema di grande complessità. Trovo certezze lapidarie, condanne e assoluzioni. Intransigenze, che mi riportano indietro nel tempo, molto indietro, anche in anni precedenti la nascita e la crescita della cultura femminista, con i suoi diversi modi di procedere. Quelli dell’autocoscienza, del partire da sé, del personale è politico. Un modo di procedere che fu una rivoluzione, e che intendeva essere una grande lezione di politica. Ho in mente le stagioni del divorzio e dell’aborto, le forti divisioni che segnarono l’opinione pubblica e i partiti. E, se non ricordo male, anche la legge sull’aborto vide divisioni all’interno del femminismo. Divorzio e aborto, per i quali furono contrastate leggi che aiutavano, invece, le libere scelte degli uomini e delle donne, la possibilità di divorziare, e delle donne, la possibilità di abortire. Seguirono i referendum che cercarono di cancellare quelle leggi. Ci fu una maggioranza, ampia, che impedì quella che sarebbe stata una forte compressione della libertà di singole vite. Pensai, allora, che finalmente la nostra Repubblica era diventata maggiorenne. Perché il punto è proprio questo. Le singole vite. Ognuna con sue ragioni, a volte non del tutto chiare neppure a chi la sta vivendo, la propria vita, figuriamoci a chi la osserva, da fuori, da lontano. La storia ha visto poche schiavitù volontarie, tema su cui si sofferma Luana Zanella. Troppo dura, spietata quasi sempre, è la condizione della persona schiava. Le servitù volontarie le vediamo, invece, frequentemente. Sentirsi in obbligo di essere come il mondo circostante ci vuole. Avere la casa arredata in modo trendy, vestirsi in un certo modo, consumare in un certo modo. Con un proprio immaginario colonizzato, spesso senza saperlo. Il senso della vita di una donna è avere figli? Naturalmente madri? E il non esserlo è una vergogna? E’ il tradire il senso della propria vita? Di fronte al desiderio assoluto di maternità, costi quel che costi, sono queste le domande che mi pongo. Interrogativi, non condanne, lancia in resta. Né, tantomeno, richiesta perentoria di leggi proibitive e di condanna. I nostri argomenti, al tempo del divorzio e dell’aborto, erano Nessuno sarà obbligato a divorziare e nessuna ad abortire.
Lea Melandri e, seppure con posizioni più critiche, anche Luana Zanella, che non voterà la legge della destra, fanno riflettere sulla definizione di reato universale della gestazione per altri. In un paese, il nostro, dove la schiavitù involontaria esiste, a cielo aperto. Provino, Meloni e i suoi ministri, a dare una occhiata al sud, e non solo, nella stagione della raccolta dei pomodori, e non solo. A proposito di reato.
La potenza materna si trova nel generare e, a volte, nel non, volontariamente, generare. Più che proibire, il femminismo dovrebbe interrogarsi, e interrogare. Perché vuoi un figlio, anche se da te non partorito? Interrogare e ascoltare tante donne. Raccogliere le risposte, studiarle, comprenderle. Altro che leggi punitive. E, soprattutto, interrogare una grande novità del nostro tempo. Anche uomini, eterosessuali o omosessuali, desiderano fortemente essere padri. Fenomeno interessante. Ricordo che un tempo, neppure troppo lontano, i maschi neppure toccavano i loro bambini. Roba da femmine. Cosa è accaduto nel giro di qualche decennio? Il dire di no alla gpa è azione politica anticapitalista? O è l’eterno immaginario dei poteri che, dall’inizio della storia, vogliono il totale controllo del corpo delle donne, e, oggi, di ogni corpo che esca da rassicuranti schemi millenari? Sono stupita nel vedere importanti voci femministe che dicono a donne come essere o non essere madri. E nel avere dimenticato quel “partire da sé”, che dovrebbe escludere non il pensiero reciprocamente critico e problematico, ma, sicuramente, qualunque genere di damnatio.
E tornando a leggi che, in ogni caso, mettono fra parentesi o negano l’autodeterminazione, come fu per il tentativo di cancellare la possibilità di abortire, sono convinta che affidare a leggi questioni a dir poco complesse, e nel criminalizzarle, si favorisce in realtà l’illegalità. Ho sempre in mente un passo di Adriana Cavarero che porto sempre con me. Vado a memoria. Le leggi stiano lontane, almeno, dalla nascita, dall’amore, dalla morte. Almeno.
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Sottoscrivo. Riflettiamo anche/soprattutto sulle nostre stesse perplessita’. Sono un segnale da ascoltare. Sempre.
Grazie Maria Paola, condivido appieno le tue riflessioni !
Sveglia Patuelli, è un intervento onirico il tuo. Vuoi che i maschi si riprendano il primato della paternità e della sessualità da poco messo in questione dalle donne o vuoi che le queste resistano ai continui tentativi di sottometterle allo sfruttamento e al sostegno delle loro pretese dei prepotenti? Antonella Nappi