Ogni tre giorni una donna uccisa da un uomo. Minacce, molestie, ricatti, stupri
sono quotidiani. L’indignazione rischia di risultare effimera. Delegare alla galera ci
solleva dal mettere in discussione la nostra normalità. Anche invocare un
«cambiamento culturale» e delegarlo alla scuola è una verità monca se rimuove la
necessità di un conflitto qui e ora. Anche contro la «trasgressione conformista»
che contrabbanda la trita battuta omofoba e misogina come eroica
«disubbidienza» al «politicamente corretto».
Cosa c’è nella violenza che mi chiama in causa come uomo? E che nesso c’è tra
il desiderio maschile e la violenza?
Il cortocircuito tra un “classico”, l’Ars amandi di Ovidio, e la chat degli stupratori di
Palermo non è blasfemo, ma rivelatore.
«Non vuol altro che resistendo, essere vinta insieme. Tu la chiami violenza? Ma
se è questo che vuol la donna! Ciò che piace a loro è dar per forza ciò che
vogliono dare. Colei che assali in impeto d’amore, chiunque ella sia, ne gode, e la
violenza è per lei come un dono. Può darsi si rifiuti, il pudore vieta alla fanciulla di
agir per prima, e allora i baci prendili a forza»;
«Falla ubriacare che poi ci pensiamo noi. Alla fine gli abbiamo fatto passare il
capriccio. Non voleva, faceva ‘no basta!’ ma quello che la struppiò di più: ‘amunì
ca ti piaci’.I pugni che le davano e pure gli schiaffi, ti giuro è vero quella p*ttana,
ce la siamo fatta tutti, eravamo una sassolata».
Non c’è un desiderio e un piacere femminile autonomo: la complementarietà dei
sessi vuole che la donna goda della sottomissione e se non è disciplinata merita
la punizione. Ma la logica di dominio non è solo nell’estremo dell’uccisione o lo
stupro: attraversa la quotidianità.
Francesco Piccolo, recentemente su Robinson, racconta l’esperienza inquietante
di scoprire una continuità tra il proprio sguardo su una donna, per strada, e i
sorrisi complici e le battute di altri uomini. E si dice che forse «possiamo solo
morire»: attendere la scomparsa delle generazioni attuali e di un modo maschile
di guardare le donne.
Una soluzione così drastica, e disperata rischia di risultare deresponsabilizzante e
illusoria, vista la giovane età degli autori degli stupri.
Davvero l’unica cosa che possiamo fare è morire?
Forse è più utile provare a indagare il desiderio: è un dato naturale, («la carne è
carne») un nucleo originario e “autentico”? o è socialmente costruito, colonizzato
e mimetico? Riconoscerne la natura sociale apre un terreno di trasformazione che
interroga tutti.
Anche la tentazione di chi non corrisponde alla norma eterosessuale di fare del
proprio desiderio una garanzia di estraneità a un immaginario e un simbolico di
dominio.Il simbolico fallico, come osserva Osvaldo Pieroni produce un’esperienza alienata
del desiderio e del corpo maschile riducendolo ad arma o strumento della
performance.
La rimozione sociale del desiderio femminile, o madri oblative o sante o puttane,
produce paradossalmente un’esperienza maschile di miseria: il denaro, la
violenza o il potere per accedere al corpo femminile svelano la mia dipendenza.
Così lo stupro è anche vendetta contro la “doppiezza femminile” e la frustrazione
di un desiderio condannato alla bassezza. Una rivincita contro quel potere
femminile che fa perdere il controllo e incrina la nostra presunzione di
autosufficienza.
Il rancore e la violenza inseguono un dominio impotente: è insopportabile che una
donna “viva per se stessa”. La sua scelta di andarsene svela la dipendenza che
avevo nascosto nella complementarietà dei ruoli, fa crollare la presunzione di
bastare a me stesso. Lea Melandri osserva come il patriarcato invischi anche le
donne offrendo loro l’illusorio potere dell’indispensabilità o della seduzione.
Esistere per l’altro, il suo bisogno e il suo desiderio.
Cosa fare? Distogliere lo sguardo, contenere il desiderio, amministrare il piacere?
O pensare un desiderio che non cerchi la disponibilità, la dipendenza,
l’accudimento. Che non insegua il controllo, il dominio e l’autosufficienza, che
scopra la parzialità come opportunità e non come perdita. Incontrare un altro
desiderio che ci vede, cercare una libertà nella relazione e non dalla relazione.
Oggi conosciamo il desiderio e la soggettività femminile. Vediamo diversi modi di
amare e desiderare. Tutto questo può offrire una diversa esperienza del corpo
maschile.
La possibilità, come uomini, di un altro desiderio, un altro piacere, un altro modo di
stare al mondo e in relazione.”
La possibilità di un altro desiderio
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