Paola Patuelli

INTRODUZIONE AL SAGGIO DI ANNAMARIA RIVERA

Il mio 25 aprile
CUTRO.
Cosa è? Chi è? Dove è?

 

Domande provocatorie che ho fatto a me stessa, dopo avere letto questo saggio di Annamaria Rivera, quasi una summa di tutto ciò che è necessario sapere sul razzismo, in particolare nel tempo oscuro che stiamo vivendo. Oscuro per chi perde la vita in mare e per chi è dimenticato ai confini fra Bielorussia e Polonia. Corpi senza valore, vite perdute, spesso senza nome. Forse, si pensa, i corpi bombardati in Ucraina hanno ragioni più chiare? Per me, nessuna, neanche in questo tragico caso. Direbbe, Christa Wolf, o farebbe dire a chi parla dalle sue meravigliose pagine.
Come facciamo a vivere, pur sapendo tutto questo?
Sappiamo dare una risposta a Cutro, cosa è? Chi qui ci legge, sicuramente sì. Il resto del mondo, in modo assai discontinuo. A macchia di leopardo. Per varie ragioni. Disattenzione. Una tragedia lava l’altra. La fatica, per molte e molti, del proprio vivere. I media che hanno spostato le luci altrove. Guerra continua. Altri orrori. Altri terrori. E, da parte dei pubblici poteri, in Italia, con grave responsabilità, anche di una Europa chiusa in se stessa, politiche che il razzismo lo alimentano, volontariamente o per drammatica insipienza. Ma lo sanno, i pubblici poteri, che, per millenni, i confini non ci sono stati? Che gli umani, da sempre, percorrono terre e mari, se, dove sono nati, la vita si fa dura o impossibile? Forse non lo sanno, orgogliosi dei propri confini, muri, divieti, benessere presuntuosamente ritenuto dovuto per merito proprio o per volontà divina? “Razza”, disgrazia degli altri. Povertà, colpa. Non male, per un paese che ha un presidente del consiglio orgogliosamente cristiano, un ministro che si veste di verde sventolando il rosario, e così via. Dopo Cutro, qualche imbarazzo, e molte assurdità, abbiamo sentito. La responsabilità dell’ennesima tragedia? Prima di tutto di quei disgraziati che partono, irresponsabili, fanno annegare i figli. Ma se hanno tutti quei soldi da dare agli scafisti, perché non li spendono a casa loro? Ma quale casa, se non l’hanno? Ma quale casa, un minuto fa depredata da noi, o un secondo fa bombardata da noi?
Per fortuna, Annamaria Rivera ci aiuta, sempre, a capire, ad approfondire, a chiarire ciò che non di rado è coperto da nebbie o da polveroni artatamente indotti. Sottolinea l’importanza delle parole e della confusione che può scaturirne. “Etnia” sta sostituendo “razza”, sempre in termini spregiativi? Inoltre, ritroviamo la definizione che Rivera diede a suo tempo di “razzismo” nella voce da lei curata nel Dizionario Enciclopedico della UTET. Una definizione esemplare che contiene ogni forma di inferiorizzazione possibile. Forme in crescita, con il mutare del tempo e della storia. Il tempo e la storia hanno fatto emergere mille differenze un tempo coperte, che il metro delle norme consuete non riescono a inquadrare. Quindi, la strada veloce della inferiorizzazione o della negazione. Inoltre, ritroviamo in questo saggio di Annamaria Rivera una efficace espressione, che spesso abbiamo trovato nei suoi scritti e in incontri pubblici avuti con lei anche nella nostra città, Ravenna. Il circolo vizioso del razzismo, non solo dal basso all’alto ma, in modo ben più drammatico, dall’alto al basso, quando sono le stesse Istituzioni con leggi, politiche, propaGande, a dare voce ed ossigeno a immaginari, azioni, parole razziste. Fino alle strategie migranticide in atto da tempo ed esplicitamente praticate, oggi. Altra parola da tenere in osservazione è integrazione. Sembrerebbe bella. Accoglienza tanto perfetta da non fare distinguere fra di loro le persone. Invece, è fare diventare cittadine e cittadini, dice Annamaria, la strada giusta. Aggiungo. Nel pieno rispetto dell’art.3 della nostra Costituzione, l’articolo della uguaglianza. Uguali diritti per ogni differenza. ‘Il saggio di Annamaria Rivera non va solo letto. Va studiato, ricorrendo anche alle fonti da lei citate e suggerite. E’ questo il modo giusto per ricordare Cutro e, per me, avvicinarmi al 25 aprile di una “resistenza continua”.

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