Femminile Maschile Plurale News Ricordo e tributo a Mikhail Gorbaciov, l’uomo della Glasnost e della Perestroika, a colloquio con Paola Patuelli

Ricordo e tributo a Mikhail Gorbaciov, l’uomo della Glasnost e della Perestroika, a colloquio con Paola Patuelli

Ricordo di Michail Sergeevič Gorbačëv della nostra socia Paola Patuelli

da Ravennanotizie.it del 31/08/2022

Se ne è andato anche Mikhail Gorbaciov, l’uomo della Glasnost e della Perestroika, l’uomo della speranza per la sinistra comunista e socialista. Un grande uomo, Premio Nobel per la pace. Aveva 91 anni. Il 25 dicembre 1991, 31 anni fa, calava il sipario su di lui e sull’URSS che lui voleva riformare. Dopo è venuta la Russia di Eltsin e dopo ancora quella di Putin, che hanno chiuso definitivamente e paurosamente le speranze aperte da Gorbaciov. Su Gorbaciov e su quegli anni abbiamo posto alcune domande a Maria Paola Patuelli, che di quel travaglio ha parlato in un suo recente bel libro: “1989. Metamorfosi del rosso fra comunismo e femminismo”.

Che cosa ha rappresentato veramente Mikhail Gorbaciov per la sinistra italiana e mondiale?

“Ricordo bene la speranza e la simpatia umana provata da molte donne e uomini, del mondo comunista e non solo, in Italia e in Europa, per Gorbaciov, chiamato subito da me affettuosamente Gorby, come dicevano di lui negli Usa. – risponde Patuelli – Incarnò la speranza che fosse possibile un socialismo “dal volto umano”, quello tentato, senza riuscirvi, da Dubcek, ventitre anni prima. Dubcek abbattuto da mano sovietica. Venti anni perduti. I tempi della storia quasi mai corrispondono a speranze, o a necessità. Perché un socialismo dal volto umano era una necessità. Per rispondere a un Occidente dal capitalismo spesso disumano, aggressivo, presuntuoso, a una democrazia a corrente alternata e in contraddizione con l’uguaglianza proclamata e poco praticata. E per mettere fine a un sistema oligarchico e illiberale, quello che governava i paesi dell’Est. La mia generazione ha ammirato Berlinguer per il suo coraggio nell’opporsi a una Urss inutilmente socialista perché deludente, il Berlinguer che ricordò ai comunisti sovietici il valore universale della democrazia. Certo, Berlinguer non era l’ingenuo che auspicava una democrazia identica ovunque – la storia non lo permette – ma anticipò i concetti di Glasnost e Perestroika. Trasparenza e trasformazione. I sistemi chiusi sono destinati a morire. La vita di Berlinguer finì prima di vedere Gorby all’opera. Sicuramente l’avrebbe sostenuto. Per un’Europa casa comune, come Gorby chiese. Gorby, di fatto, è stato berlingueriano. Nel mio recente “1989. Metamorifosi del rosso fra comunismo e femminismo”, Gorbaciov è presenza forte. Indimenticabile. Gorbaciov è presenza forte. Indimenticabile. Mi colpì anche il suo rapporto con Raissa, la amatissima moglie, docente di filosofia. Furono compagni di vita e di speranze condivise. Il loro stile mi riporta a una grande verità del femminismo. Il personale è politico. Un personale felice che non
nascosero.”

Crollo del Muro di Berlino, Piazza Tienanmen, destituzione di Gorbaciov e fine dell’Urss: tutto in due anni e mezzo. Cosa sono stati e come ha vissuto quegli anni cruciali Paola Patuelli?

“Anche di questo, di Tienanmen,  ho ripercorso e ripensato i passaggi e i significati. Giovani cinesi, nella speranza che la perestroika arrivasse anche in Cina, manifestarono per la libertà. In questo caso la mia simpatia per loro aveva basi storiche assai deboli. Una minoranza di giovani intellettuali in un enorme mare asiatico e agrario. Fu facile spazzarli via. Il Muro scricchiolava da tempo. Gorby impedì che il crollo avesse una ricaduta tragica. Ma non mi unii al giubilo superficiale di chi pensò che tutto sarebbe andato benissimo. Fallimento del comunismo e l’impero del bene che porta la civiltà nel mondo. Ne vedremo delle belle, pensai e dissi. E la prima cosa pessima che vedemmo fu la destituzione di Gorby, detestato in patria e apprezzato solo a parole a Ovest. Vissi quegli anni con preoccupazione crescente, dopo le iniziali speranze – cadute – di un Gorby vincente. Ma resta il fatto che la Russia era vicina – dovrebbe essere –  all’Europa più della Cina. Altro mondo, altra storia. E che l’Europa, se vuole esistere nella sua consistenza storica e nella sua cultura, non può essere la fotocopia della Nato. La Nato ebbe ragioni che anche Berlinguer comprese. Da allora, sono passati quasi cinquanta anni e il mondo è cambiato in modo radicale, a Est e a Ovest.”

I grandi profeti e riformatori della sinistra sono tutti morti. Da Brandt a Palme, da Berlinguer a Gorbaciov. È morta anche la sinistra con loro?

“Fu una stagione piena di intelligenza politica quella della sinistra europea dei primi anni Ottanta. Poi, quasi tempesta perfetta, Brandt ai margini, Palme ucciso, Berlinguer morto prematuramente, dopo, peraltro, la tragica cesura della uccisione di Moro. Questo è stato il muro caduto sulle nostre teste, nel 1978. La sinistra è morta non perché sono caduti muri, ma perché non ha avuto persone di intelligenza politica e storica all’altezza di cambiamenti profondi. È morta per assenza di pensiero, di lungimiranza. Tutta piegata a “compiacere” non il mondo per cui la sinistra è nata, il mondo di chi lavora, di chi studia, di chi è debole e ha bisogno di solidarietà sociale e civile, e non di assistenzialismo, di chi chiede giustizia, nel senso della nostra Costituzione. Ma di “compiacere” l’altro mondo, il mondo “perbene”, con il timore di “spaventare”, di non “piacere”. Piacere a chi? Quella sinistra, da Palme a Gorby, passando per Berlinguer, è morta. Inutili nostre nostalgie. La nostalgia non è una categoria della politica. E la storia non finisce con noi. Né con Putin che vergognosamente ha allontanato il suo popolo dall’Europa, né con gli altri nazionalismi europei che ci allontanano dall’Europa casa comune, né con Trump e le varie forme di neofascismo. Certo, la generazione che ci sta dando una grande lezione sulle questioni ambientali – al centro di ogni progetto di giustizia – dovrà farsi carico di ciò che la sinistra passata non è riuscita a compiere.”

Guardando a Gorbaciov e a chi è venuto dopo, alla guerra che abbiamo oggi sotto gli occhi, vengono i brividi. Allora le due Europe si erano avvicinate e dialogavano, sembrava finita la guerra fredda. Oggi c’è l’Europa e c’è la Russia… lontanissima e violentissima. Che fare per evitare uno scontro micidiale?

“Le parole più realistiche e intelligenti che ho ascoltato, dopo la tragica avventura in Ucraina di Putin, sono quelle di Papa Francesco. Un gesuita geniale, come a volte i gesuiti sono stati nella storia –  non sempre –  a partire dal nome che ha scelto, Francesco. Fratello Francesco. Il primo Papa che ha scelto questo nome, nonostante tutte le retoriche sul poverello, patrono d’Italia. Una figura luminosa, il poverello geniale, che salvò la Chiesa che stava sprofondando. Papa Francesco dice con parole chiare ciò che è evidente. La guerra è una follia. Chi costruisce armi è un pazzo. Chi le usa è un pazzo. Chi pensa che più armi fermino una guerra è un pazzo. Chi manda tante armi a un paese dove – ancora – una guerra non c’è, è un pazzo, perché invita al disastro. E provocare un cane rabbioso è pazzia, dice Francesco. Lo scontro può essere veramente micidiale. Più di ogni altra volta nella storia. Perché l’atomica è accanto a casa, sotto casa, a due passi, e tutto può accadere, circondati come siamo da dottor Stranamore che amano fare la guerra. O, meglio, farla fare. Quindi, che fare? Ascoltare Francesco. E Gorby. Che, poco prima di andarsene, disse che la guerra in Ucraina doveva finire. E così sarebbe, se una intelligenza politica all’altezza degli anni Ottanta ricomparisse all’orizzonte.”

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