Susan Sontag, Sulle donne – Prefazione di Benedetta Tobagi,
Torino, Einaudi, 202 (ed. orig. Londra, Penguin Books, On Women,
2023)
di Marina Mannucci
La raccolta di scritti Sulle donne pubblicati tra il 1972 e il 1975 conservano, allo stesso tempo, una loro attualità e sono anche profondamente legati alla propria epoca della quale rimandano tensioni e contraddizioni sia del movimento femminista che dell’autrice. Sontag è consapevole che alcune trasformazioni sono una risposta adattativa al sistema capitalista. Il femminismo e le sue battaglie erano allora e lo sono ancor più oggi insidiati dalle modalità ambigue con cui il neoliberalismo cerca di ridurre tutto a un “marchio” accattivante. Nella prefazione a cura di Benedetta Tobagi, di Sontag, saggista affermata a livello internazionale, viene ricordato il suo attivismo contro la guerra in Vietnam, nel movimento femminista e la sua attitudine a essere sempre e comunque una scrittrice antagonista e polemica.
Il volume contiene sei i saggi sulla questione femminile in cui vengono affrontati i temi dell’invecchiamento, dell’uguaglianza, della bellezza, della sessualità e del fascismo. «Le idee più interessanti sono le eresie», scriveva Sontag e i testi qui raccolti ne sono la dimostrazione.
Nel primo saggio del 1972, Invecchiare: due pesi e due misure (pp. 3-43), l’autrice dimostra come questa disparità si manifesti con estrema brutalità nelle convenzioni che regolano la sessualità e presuppongono una disparità tra uomini e donne, per queste ultime sempre svantaggiosa. «Per la maggior parte delle donne, dunque, l’invecchiamento è un umiliante processo di graduale squalifica sessuale. Poiché si ritiene che la massima desiderabilità delle donne coincida con la prima giovinezza, dopo la quale il loro valore sessuale è in costante calo. […] Essere donne vuol dire essere attrici. La femminilità è una sorta di teatro, fatto di costumi, scenografie, luci e gesti stilizzati. […] Per le donne l’esperienza dell’invecchiamento è dunque più dolorosa che per gli uomini e non soltanto perché si preoccupano più di loro del proprio aspetto». Sontag scrive che le donne sono costrette a sottostare a una pesante pressione sociale riguardo al loro aspetto estetico, propensioni conformistiche e irriflesse finiscono per relegarle ad uno stato di minorità perchè «le regole del gusto rafforzano le strutture di potere».
Il secondo saggio, scritto nel 1972 e pubblicato nel 1973, Il terzo mondo delle donne (pp.45-97), è stato scritto in risposta a un questionario inviato alla Sontag e ad altre cinque donne, tra cui Simone de Beauvoir e Rossana Rossanda, dai direttori del trimestrale politico e letterario in lingua spagnola «Libre», edito a Parigi. Dopo una breve storia della lotta per la liberazione delle donne, che «già dalla preistoria […] deve aver tratto origine dalle misure pratiche adottate per garantire la loro peculiare responsabilità biologica: la procreazione», l’autrice indica quanto sia esile la base “naturale” della presunta differenza attraverso cui «la fisiologia riproduttiva delle donne è trasformata in una vocazione a vita, regolamentata da norme opportunamente rigide che incidono sul carattere e sul temperamento». La liberazione delle donne è una necessità storica come lo è stata a suo tempo l’abolizione della schiavitù e per realizzarla è necessaria una lotta “rivoluzionaria” radicale e conservatrice allo stesso tempo. «Sarà conservatrice nel senso che dovrà rifiutare l’ideologia della crescita illimitata (i livelli di produttività e di consumo in continuo aumento; l’incessante cannibalizzazione dell’ambiente) – un’ideologia condivisa con pari entusiasmo dai Paesi che si definiscono capitalisti e da quelli che aspirano al comunismo. E sarà radicale nel senso che dovrà contestare, e riplasmare, le consuetudini morali sostanzialmente autoritarie vigenti sia nei Paesi capitalisti sia in quelli comunisti. La liberazione delle donne costituirà la fase più radicale di questo nuovo processo rivoluzionario». Alla domanda «Che significa per lei l’idea di liberazione delle donne?», Sontag risponde che è necessaria «una presa di coscienza della profonda misoginia espressa a qualsiasi livello di interazione umana, non soltanto dalle leggi, ma da ogni dettaglio della vita quotidiana: dalle forme di cortesia e dalle convenzioni (abiti, gesti, ecc.) che polarizzano l’identità sessuale, e dal flusso di immagini (artistiche, giornalistiche o pubblicitarie) che perpetuano gli stereotipi sessisti. Alla domanda “Nel processo di liberazione delle donne attribuisce pari importanza alla liberazione economica e a quella sessuale?” l’autrice risponde di non essere certa che la liberazione economica e quella sessuale siano due tipi diversi di liberazione e che la divisione sessista del lavoro conferma, e, anzi, rafforza la colonizzazione delle donne. «Le donne non partecipano proficuamente al lavoro moderno sullo stesso piano degli uomini. […] Non si potrà parlare, perciò, di liberazione economica finché le donne non svolgeranno tutte le attività oggi svolte dagli uomini, alle loro stesse condizioni (in termini di salario, livelli di prestazione, rischiosità), rinunciando, così, alle prerogative dei folli, dei bambini, dei servi». Nelle risposte alle successive domande del questionario Sontag afferma che la liberazione delle donne comporta una rivoluzione culturale volta a contrastare atteggiamenti e mentalità che altrimenti rischierebbero di sopravvivere alla ridefinizione dei rapporti economici cui mira la lotta di classe perché presume che un mutamento di classi avrebbe scarsissimo effetto sulla condizione delle donne. «Il socialismo non condurrà inevitabilmente alla liberazione delle donne». Compito della lotta per la liberazione delle donne è «sferrare un attacco critico contro la natura stesso dello Stato – poiché la millenaria tirannia del dominio patriarcale è il modello in scala ridotta della peculiare tirannia moderna dello Stato fascista. Riguardo il tema del lavoro, l’autrice sostiene che le donne saranno qualificate per metterne in discussione, insieme ai colleghi uomini, le definizioni delle sue condizioni di fondo, solo quando la segregazione sessuale sarà completamente eliminata. Per realizzare la lotta di liberazione delle donne Sontag teorizza, inoltre, che innanzitutto le donne imparino a parlare tra di loro, a organizzarsi politicamente. «Le azioni integrate, quelle intraprese insieme agli uomini, […]limitano necessariamente la libertà delle donne di pensare in modo “radicale”. […] La coscienza muta solo attraverso lo scontro, in situazioni in cui la pacificazione non è possibile». Riguardo alla domanda se la famiglia rappresenti un ostacolo per la liberazione delle donne, Sontag sostiene che la “famiglia nucleare” moderna funzioni in modo da opprimere le donne. «La famiglia “nucleare” moderna è un disastro psicologico e morale. È una prigione di repressione sessuale, il terreno di gioco di un incoerente lassismo morale, un museo di possessività, una fabbrica di sensi di colpa, e una scuola di egoismo […] la pecca storica della famiglia non sta nell’autoritarismo, bensì nei rapporti di proprietà su cui si basa la sua autorità». In questo capitolo Sontag affronta anche il tema del diritto all’aborto volontario «di per sé, il diritto all’aborto non ha alcun contenuto politico serio – nonostante la sua estrema auspicabilità per ragioni umanitarie ed ecologiche. Diventa una pretesa valida, tuttavia, quando è avanzata come primo passo per giungere a una serie di rivendicazioni e di azioni in grado di mobilitare e far progredire le coscienze di un gran numero di donne che non hanno ancora avviato una riflessione consapevole sulla propria oppressione». In chiusura di questo secondo saggio l’autrice sostiene di essere stata sempre una femminista e che «La prima responsabilità di una donna “liberata” è quella di vivere la vita più piena, più libera e più immaginativa possibile. La seconda è la solidarietà nei confronti delle altre donne. […] Il prezzo da pagare per i buoni rapporti che instaura con gli uomini non deve essere il tradimento delle proprie sorelle». Nel terzo saggio, La bellezza di una donna. Fonte di discredito o di potere?, Sontag sostiene che per sfuggire alla trappola della bellezza «è necessario che le donne prendano una distanza critica dall’eccellenza e dal privilegio garantiti dalla bellezza, una distanza sufficiente per comprendere quanto la bellezza stessa sia stata sminuita al fine di consolidare il mito della “femminilità”. Deve esserci un modo di salvare la bellezza dalle donne e per le donne». Il quarto saggio, La bellezza. Come cambierà?, del 1975, si sofferma ancora su questo tema e sulle trasformazioni del concetto di bellezza che si susseguono a un ritmo incalzante. «Tutti riconoscono che il bello è “relativo”, che culture diverse concepiscono la bellezza in maniera diversa, e che nella nostra cultura il concetto di bellezza ha una storia complessa. L’idea di bellezza è entrata nell’era dell’autoconsapevolezza. […] La bellezza diventa sempre più complessa e consapevole, e soggetta più che mai a mutamenti cronici (anche se in parte forzati), il che – dal punto di vista femminista – può essere una buona notizia. Sembrerebbe che, per una volta, gli interessi dei moralisti (di orientamento femminista) e quelli degli esteti coincidano. Sia gli uni sia gli altri hanno qualcosa da guadagnare dal fatto che il cambiamento è ormai parte dell’essenza della bellezza». Nel saggio dedicato all’opera della regista e fotografa Leni Riefenstahl, “Fascino Fascista” del 1974, la Sontag dimostra come si sia giunti a una erotizzazione del Fascismo e del Nazismo. Analizzando e recensendo un libro che racchiude il reportage fotografico di Leni Riefenstahl tra il popolo africano dei Nuba, una popolazione del Sudan meridionale di cui la fotografa tedesca esalta la perfezione dei corpi, Susan Sontag afferma che la regista-fotografa tedesca stia in realtà proseguendo un’estetica nazista che è necessario demistificare e smascherare, dimostrando come la Riefenstahl sia ancora, a distanza di decenni dalla caduta del Nazismo, portatrice di un’estetica e di un’ideologia che già aveva espresso compiutamente ne Il Trionfo della Volontà e in Olympia. «L’attuale denazificazione di Riefenstahl e la sua difesa come indomita sacerdotessa del bello – da regista e, ora, da fotografa – non lasciano presagire nulla di buono sulla nostra capacità di discernere gli aneliti fascisti che aleggiano intorno a noi». Segue Femminismo e Fascismo. Uno scambio epistolare tra Adrienne Rich e Susan Sontag, un “botta e risposta” tra le due scrittrici statunitensi. Rich imputa a Sontag di essere «spesso sul punto di stabilire importanti correlazioni sessuali/politiche che, di fatto, non esplicita mai»; nella replica, Sontag si dissocia «da quell’ala del femminismo che promuove la stantia e pericolosa antitesi tra mente (l’«esercizio intellettuale») ed emozioni (la «realtà vissuta emotivamente»). Proprio perché anche questo tipo di banale discredito delle virtù normative dell’intelletto (che riconosce l’inevitabile pluralità delle pretese morali e, insieme alla passione, accorda il diritto alla provvisorietà e al distacco) è una delle radici del fascismo – come ho cercato di dimostrare nelle mie argomentazioni su Riefenstahl».
In chiusura del volume, L’intervista a “Salmagundi”, del 1975, in cui l’autrice sostiene che «la difesa della civiltà comporti la difesa di un’intelligenza non autoritaria. Ma tutti i difensori contemporanei della civiltà devono tenere presente – per quanto non credo sia utile ripeterlo spesso – che la nostra civiltà, già così sopraffatta dalla barbarie, è giunta alla fine, e che non potremo fare niente per rifondarla. Perciò, in questa cultura di transizione di cui dobbiamo sforzarci di cogliere il senso, combattendo i mali gemelli dell’iperestesia e della passività, nessuna posizione può essere comoda o sostenuta con compiacimento».
1 Abbiamo analizzato il fenomeno del pink washing nella recensione del saggio di Jennifer Guerra, Il femminismo non è
un brand, del 20 maggio 2024, https://www.femminilemaschileplurale.it/cenni-sulla-pubblicazione-del-volume-di-jennifer-
guerra-il-femminismo-non-e-un-brand/ [ultima visualizzazione: 22 giugno 2024].
2 S. Sontag, Sulle donne, cit., p. 11.
3 Ibid., p. 21.
4 Ibid., p. 29.
5 Ibid., p. 39.
6 Ibid., p. 48.
7 Ibid., pp. 48-49.
8 Ibid., pp. 50-51.
9 Ibid., p. 58.
10 Ibid., p. 60.
11 Ibid., p. 66.
12 Ibid., pp. 77-78.
13 Ibid., p. 87.
14 Ibid., pp. 93-94.
15 Ibid., p. 97.
16 Ibid., p. 103.
17 Ibid., p. 114.
18 Ibid., p. 144.
19 Ibid., p. 155.
20 Ibid., p. 166.
21 Ibid., p. 198.